La Cassazione esclude la preventiva escussione della controllata

Di Maurizio MEOLI

L’art. 2497 comma 3 c.c. non prevede una condizione di procedibilità dell’azione contro la società che esercita attività di direzione e coordinamento, costituita dall’infruttuosa escussione, da parte del socio della controllata, del patrimonio di questa o della previa formale richiesta risarcitoria ad essa rivolta, avendo il legislatore posto unicamente in capo alla società capogruppo l’obbligo di risarcire i soci esterni danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento.
Ad affermarlo è la Cassazione nella sentenza n. 29139, depositata ieri, che conferma l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di merito che sembra prevalente (cfr. Trib. Milano 27 febbraio 2012, Trib. Milano 18 dicembre 2015 e Trib. Catanzaro 8 marzo 2017).

Ai sensi dell’art. 2497 comma 3 c.c., soci e creditori sociali della società eterodiretta possono agire contro la società o l’ente che ha esercitato in modo abusivo (e per loro dannoso) l’attività di direzione e coordinamento, “solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento”.
La previsione normativa sembra far ricadere sui soci esterni della società eterodiretta un onere di preventiva escussione della medesima. Nel contesto di tale soluzione interpretativa, peraltro, ci si è divisi tra chi ha ritenuto il beneficio operante già in sede di cognizione e chi, invece, lo ha posto solo in sede esecutiva (cfr. Trib. S. Maria Capua Vetere 16 aprile 2013 e Trib. Palermo 15 giugno 2011).

Ma, secondo la Suprema Corte, la tesi non convince né dal punto di vista letterale né della ratio.
Quanto al profilo letterale, la norma parla di “agire” solo con riguardo alla capogruppo e non anche in relazione alla società dominata. Tale azione, poi, è preclusa dalla circostanza concreta che soci o creditori siano stati “soddisfatti”: espressione che evoca la tacitazione del debito, così che non si abbia più nulla da pretendere. In pratica, il diritto al risarcimento del danno vantato verso la controllante vale solo se non vi è stata “soddisfazione” da parte della controllata.

Ammettere un beneficio d’escussione, in sede di cognizione o di esecuzione, poi, contrasterebbe anche con la ratio della tutela riconosciuta ai soci della società eterodiretta. Ciò sia perché vi sarebbero sicuri ritardi e maggiori rischi a loro carico, sia perché l’azione obbligata contro la società eterodiretta inciderebbe negativamente anche sul valore della partecipazione sociale: che è proprio il pregiudizio al quale la disciplina in questione intende offrire tutela. Quanto ai creditori sociali, inoltre, la norma contempla una situazione che è successiva al sorgere del credito risarcitorio, con pagamento, seppure tardivo, da parte della società controllata debitrice, oppure con misure ripristinatorie dell’integrità del patrimonio di questa da parte della controllante (copertura perdite, aumento di capitale, versamenti a fondo perduto appostati a riserva, ecc.) ed eliminazione della situazione di insufficienza patrimoniale della propria debitrice.

In effetti, osserva la Suprema Corte, il legislatore, dopo avere configurato la responsabilità per abuso dei poteri di direzione e coordinamento (art. 2497 comma 1 prima parte c.c.), l’ha delimitata o esclusa in tre casi in cui un danno risarcibile non esiste più perché: mancante, alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento (comma 1 ultima parte prima ipotesi); integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette (comma 1 ultima parte seconda ipotesi); azzerato dalla stessa società controllata, che abbia soddisfatto la pretesa risarcitoria secondo un meccanismo meramente “fattuale” (comma 3). In tutte queste ipotesi un pregiudizio non esiste più; fermi restando, nell’ultimo caso, i meccanismi interni tra le due società (rimborso di quanto pagato dalla controllata o preventiva messa a disposizione del dovuto da parte della holding).

E nell’art. 2497 comma 3 c.c. il legislatore ha sostanzialmente riproposto l’art. 1180 c.c. (adempimento del terzo), ma con taluni profili di specialità: da un lato, quanto al terzo adempiente, non estraneo all’organizzazione sociale del debitore a titolo risarcitorio, ma società da questo dominata; dall’altro, quanto alla (implicita) esclusione del possibile rifiuto del creditore nel ricevere la prestazione (vuoi che abbia interesse a che il debitore la esegua personalmente, vuoi per l’opposizione del debitore). Il tutto attribuendosi rilevanza alla soddisfazione con ogni modalità utile per soci o creditori sociali.

In definitiva, non sussiste alcuna condizione di procedibilità dell’azione contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento, costituita da beneficium excussionis o da beneficium ordinis, in assenza di un obbligo solidale nel debito risarcitorio. Se non sussiste un beneficio d’escussione, in via di cognizione o di esecuzione, né un onere di formale messa in mora stragiudiziale della controllata, neppure è configurabile la pretesa di essere da questa risarciti per fatto altrui (della controllante), ossia non si ha azione risarcitoria con quel petitum e con quella causa petendi contro la società eterodiretta, priva di legittimazione passiva, sia pure quale coobbligata, nell’azione risarcitoria per direzione abusiva ex art. 2497 c.c.