A diverse conclusioni si dovrebbe però giungere nell’ipotesi della prescrizione

Di ALICE BOANO E ALFIO CISSELLO

In base a quanto disposto dall’art. 14 comma 4-bis della L. 537/93, l’esercizio dell’azione penale ad opera del PM legittima l’Amministrazione finanziaria a disconoscere i costi direttamente sostenuti per il compimento del reato, sempre che si tratti di delitto non colposo.

Nell’ipotesi in cui il contribuente agisca dinnanzi al giudice tributario, vi è da chiedersi quali siano i limiti del sindacato del giudice in relazione al delitto non colposo che si presume commesso. Ciò ha naturalmente riflesso sui motivi di ricorso sollevabili.
Da un lato, infatti, senza la contestazione del delitto non colposo non ci si troverebbe dinnanzi alla Commissione tributaria, dall’altro, il giudice tributario, chiamato a compiere la valutazione, non è dotato di tutti i mezzi di prova di cui dispone il giudice penale.

Preme innanzitutto rammentare che il rapporto fra i due processi è disciplinato dal doppio binario, in base al quale il processo tributario non può essere sospeso in attesa che termini quello penale (art. 20 del DLgs. 74/2000).
Tanto premesso, ci si può chiedere se il contribuente possa sindacare la presenza del reato o eccepire che in realtà l’imputazione penale avrebbe dovuto riguardare una contravvenzione e non un delitto, oppure se tali valutazioni siano di esclusivo appannaggio del giudice penale.

Sul punto, si confrontano due orientamenti di segno opposto.
Secondo la giurisprudenza, tali valutazioni sono di esclusiva competenza del giudice penale, poiché, dal punto di vista tributario, l’esercizio dell’azione penale e l’utilizzo dei costi in funzione del reato sono di per sé sufficienti per l’applicabilità dell’art. 14comma 4-bis della L. 537/93 (C.T. Reg. Firenze 18 febbraio 2017 n. 426/17/17, C.T. Prov. Milano 2 gennaio 2017 n. 1/26/17).
La posizione del contribuente, in ogni caso, è garantita dal legislatore, grazie al rimborso, previsto dallo stesso art. 14 comma 4-bis della L. 537/93 in caso di sentenza di proscioglimento, delle somme versate, comprensive di imposte, sanzioni e interessi.

In senso contrario, si è espressa la circolare Assonime n. 14 del 28 maggio 2012. Quest’ultima ritiene decisivo il rispetto del principio di autonomia dei processi, essendo indispensabile attribuire al giudice tributario la cognizione incidenter tantumdel reato.

A rischio il doppio binario

Dalle considerazioni appena effettuate è opportuno tenere distinta l’ipotesi di decorso della prescrizione, il cui trattamento viene differenziato dallo stesso legislatore rispetto alle altre cause di estinzione del reato.
Non a caso, la sentenza di non luogo a procedere (art. 425 c.p.p.) per intervenuta prescrizione ex art. 157 c.p. legittima comunque il recupero dei costi e, coerentemente, il diritto al rimborso non sussiste se il successivo proscioglimento deriva dalla prescrizione.
In tali casi, dovrebbe sempre essere ammesso il sindacato sulla presenza del reato (circ. Assonime 28 maggio 2012 n. 14). Sarebbe inammissibile, infatti, che da un lato il giudice penale non accertasse il reato per prescrizione e, al tempo stesso, il contribuente subisse il recupero a tassazione senza la possibilità di difendersi.

In conclusione, è auspicabile un intervento legislativo per meglio contemperare il principio di autonomia dei processi e l’esigenza di tutelare la posizione del contribuente che subisce, in ogni caso, due procedimenti dinnanzi a organi giudiziari diversi.