Si verifica una discontinuità anche «patrimoniale» nel caso di gestione straordinaria delle imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione

Di Maria Francesca ARTUSI

Gli amministratori nominati per la gestione straordinaria e temporanea dell’impresa, nell’ambito della prevenzione della corruzione negli appalti pubblici, possono agire per ottenere la restituzione delle somme sequestrate laddove queste derivino dall’esecuzione dell’appalto.

Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione – nella sentenza n. 51085 depositata ieri – a una srl erano stati sequestrati circa 345.000 euro depositati sul conto corrente della società, a fronte della contestazione dei delitti di truffa (art. 640 c.p.) e dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 del DLgs. 74/2000).
Tuttavia, il conto corrente su cui era depositata la somma sequestrata era stato aperto successivamente alla commissione di tali fatti da parte degli amministratori straordinari nominati dal Prefetto, ai sensi dell’art. 32 del DL 90/2014.
Questa norma è dedicata alle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione, nei casi in cui l’autorità giudiziaria proceda per i delitti di cui agli artt. 317318-320322 e 322-bis, 346-bis, 353 e 353-bis c.p., ovvero, in presenza di “rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali” attribuibili a un’impresa aggiudicataria di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture, o a un’impresa che esercita attività sanitaria per conto del Servizio sanitario nazionale, ovvero a un concessionario di lavori pubblici o a un general contractor.

In tali ipotesi è prevista la possibilità per il Prefetto – su proposta del Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) e sentito il Procuratore della Repubblica – di ordinare la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto ovvero di provvedere direttamente alla straordinaria e temporanea gestionedell’impresa limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto ovvero dell’accordo contrattuale o della concessione.
Lo scopo di tale norma – precisa la Cassazione – è quello di sottrarre la gestione degli appalti di interesse pubblico (concerenti, cioè, opere, servizi e forniture destinati alla collettività) alle imprese aggiudicatarie, quando si siano verificati dei reati contro la Pubblica Amministrazione o, comunque, situazioni “anomale” sintomatiche di condotte illecite; senza, tuttavia, dover differire l’esecuzione del contratto e ledere l’interesse generale ad esso sottostante.

Il Prefetto, previo l’accertamento dei presupposti descritti e valutata la particolare gravità dei fatti, intima all’impresa di provvedere entro trenta giorni al rinnovo dei propri organi sociali e, in caso ciò non avvenga oppure nelle ipotesi più gravi, nomina direttamente uno o più amministratori, in numero comunque non superiore a tre, in possesso dei requisiti di professionalità e onorabilità.
Con lo stesso decreto viene stabilita la durata della misura in ragione delle esigenze funzionali alla realizzazione dell’opera pubblica, del servizio o della fornitura (art. 32 comma 2 del DL 90/2014).

Agli amministratori straordinari sono attribuiti tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell’impresa, strettamente indirizzati, però, all’oggetto del decreto prefettizio, cioè all’esecuzione del contratto. Si tratta, secondo i giudici, di un “buon governo” dell’appalto il cui portato economico va a confluire su un apposito fondo, non disponibile e intangibile da parte di terzi, nonché insuscettibile di confusione con il patrimonio sociale.

Nel caso affrontato dalla sentenza in commento, tale fondo indisponibile era rappresentato proprio dal conto corrente aperto dai nuovi amministratori e, dunque, nell’esclusiva disponibilità di questi.

Da verificare la diretta derivazione dagli illeciti

Per rendere legittimo il sequestro, il giudice avrebbe dovuto verificare se la somma oggetto del provvedimento costituisse effettivo provento lecito dell’appalto oppure, seppur presente su un conto aperto in sede di gestione straordinaria, fosse comunque riconducibile – e in quale misura – alla precedente gestione, riguardo alla quale erano contestati i reati tributari e la truffa.
In altre parole, va verificato – come sempre nell’ambito dei provvedimenti cautelari reali – se il denaro sottoposto a vincolo abbia una diretta derivazione dagli illeciti che si assumono commessi (cfr. Cass. SS.UU. n. 31617/2015). In caso contrario, sembrerebbe dover prevalere l’interesse pubblico alla corretta esecuzione del contratto.