L’azione affidata al curatore è di competenza della sezione fallimentare

Di Maurizio MEOLI

L’obbligo dei soci di srl di restituire i rimborsi dei finanziamenti alla società percepiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, di cui all’art. 2467 comma 1 c.c., può essere fatto valere esclusivamente dal curatore della società stessa, in rappresentanza della massa dei creditori. Tale azione – che non presuppone la necessità che i finanziamenti presentino le caratteristiche descritte dall’art. 2467 comma 2 c.c. – traendo origine dal fallimento, è devoluta alla competenza funzionale del Tribunale che ha dichiarato il fallimento. A precisarlo è la Cassazione, nella sentenza n. 25163, depositata ieri.

Nel caso di specie, il curatore del fallimento di una srl conveniva in giudizio, dinanzi alla sezione fallimentare del competente Tribunale, una società socia, chiedendole di restituire una somma erogatale, nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, a titolo di rimborso di precedenti finanziamenti. La società socia si opponeva deducendo, tra l’altro, l’incompetenza del giudice adito. Il Tribunale accoglieva tale eccezione dichiarando la competenza della sezione specializzata in materia d’impresa (radicata presso altro Tribunale). Contro tale decisione il curatore proponeva istanza di regolamento di competenza alla Cassazione. La Suprema Corte ritiene il ricorso fondato.

Ai sensi dell’art. 2467 c.c., il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è “postergato” rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere “restituito” (comma 1). Ai fini di cui sopra s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento (comma 2).

Nell’ambito del citato primo comma, sottolinea la Suprema Corte, occorre distinguere tra la regola dettata dalla prima parte, che dispone la “postergazione” del rimborso dei finanziamenti effettuati dai soci, così come qualificati dal secondo comma, rispetto al soddisfacimento degli altri creditori, dal rimedio previsto dalla seconda parte del primo comma, che pone a carico dei soci l’obbligo di “restituire” i rimborsi dei finanziamenti ottenuti nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento della srl.

Quest’ultimo rimedio opera solo nel caso di fallimento. Ciò si deduce dal riferimento temporale adottato per individuare i rimborsi assoggettati a restituzione. Riferimento temporale che, presupponendo l’intervento della dichiarazione di fallimento, è tale da riconoscere esclusivamente al curatore fallimentare, in rappresentanza della massa dei creditori, la legittimazione all’esercizio dell’azione restitutoria.

Tale ricostruzione non comporta, però, che la “postergazione” rimanga priva di effetti fino alla dichiarazione di fallimento. I giudici di legittimità, in particolare, sembrano aderire a quella ricostruzione interpretativa secondo la quale la postergazione è destinata a produrre effetti anche al di fuori delle procedure concorsuali e della fase di liquidazione. Ciò sia per il tenore letterale della disposizione che per coerenza rispetto alla ratio della postergazione. Si tratta, infatti, di una regola finalizzata a ristabilire l’equilibrio finanziario dell’impresa sociale nell’interesse dei creditori e della società stessa, al fine di evitare che il rischio correlato alla gestione di un’impresa sottocapitalizzata – ovvero priva di mezzi propri ed operante con il prevalente ricorso a finanziamenti dei soci – sia trasferito a carico dei creditori esterni alla società.

Ed al fine di assicurare l’attuazione di tale disciplina (al di fuori delle procedure concorsuali e della fase di liquidazione) sono state ipotizzate differenti soluzioni. Si è, infatti, parlato, tra l’altro, di “indebito oggettivo”, ex art. 2033 c.c., e di applicazione analogica dell’art. 2495 comma 2 c.c., con le sue indicazioni a tutela dei creditori non soddisfatti in esito alla cancellazione. In ogni caso, l’azione che ha a fondamento la postergazione, anche individuando il “legittimato passivo” nei soci che hanno ottenuto il rimborso, ha in comune con quella prevista dall’art. 2467 c.c. unicamente il presupposto di fatto, ovvero l’effettuazione del rimborso.

Mentre se ne differenzia sia per la necessità che lo stesso sia avvenuto in presenza della situazione di squilibrio finanziario descritto nel secondo comma, che per la mancanza di un limite temporale. Secondo la prevalente dottrina, invece, anche in caso di restituzione nell’anno anteriore al fallimento il rimborso sarebbe condizionato alla sussistenza delle condizioni indicate nel secondo comma dell’art. 2467 c.c.

In quest’ottica, conclude comunque la sentenza in commento, poiché la domanda del caso di specie non è annoverabile tra le azioni che il curatore “rinviene” nel patrimonio della società fallita, trattandosi invece di un’azione che “trae origine” dal fallimento, non può configurarsi la competenza delle sezioni specializzate in materia d’impresa, ma quella del Tribunale che ha dichiarato il fallimento.