Per la Relazione al DM 3 agosto 2017, a questi fini si dovrebbe valutare la presenza dei singoli Stati nella lista alla data del 1° gennaio 2011

Di Gianluca ODETTO

Le nuove disposizioni attuative dell’ACE prevedono, nel contesto della “rivisitazione” delle norme anti abuso relative all’agevolazione, l’irrilevanza dei conferimenti provenienti da soci residenti in Stati o territori non “collaborativi”. La nuova norma (art. 10 comma 4 del DM 3 agosto 2017) ha provveduto a razionalizzare questa disciplina, eliminando la clausola di riduzione della base ACE legata ai conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti, se controllati da soggetti residenti (in precedenza contenuta nell’art. 10 comma 3 lettera c) del DM 14 marzo 2012) e replicando nella sostanza la disposizione di cui all’art. 10 comma 3 lettera d) dello stesso DM 14 marzo 2012.

Come da regola empirica, in termini generali la riduzione della base ACE grava sul soggetto che effettua il conferimento nell’ambito dei rapporti tra soggetti residenti (anche se, con le nuove norme attuative, questo principio deve necessariamente essere adeguato, prevedendosi la sua estensione anche ai conferimenti effettuati verso società che non hanno titolo a beneficiare dell’ACE, quali le società estere), mentre “colpisce” il soggetto conferitario nei rapporti con i soggetti non residenti. Quindi, se la società A effettua un conferimento in denaro a favore della controllata B, A riduce la sua base ACE (mentre l’agevolazione viene fruita da B); se A, però, riceve un conferimento dal soggetto estero non white list Z, è A a ridurre la propria base ACE.

La disposizione contenuta nell’art. 10 comma 4 del DM 3 agosto 2017 condivide nella sostanza con la sua “vecchia” omologa due presupposti di fondo, rappresentati dall’assenza di riferimenti a rapporti di controllo tra i due soggetti e dall’individuazione degli Stati o territori di localizzazione del socio estero che fanno scattare la riduzione della base ACE.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la nuova norma precisa che la base di calcolo dell’agevolazione è ridotta dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti non white list, “anche se non appartenenti al gruppo”. La Relazione al DM 3 agosto 2017 chiarisce, quindi, che la società conferitaria residente deve sempre considerare l’apporto proveniente dal socio non white list come irrilevante ai fini della disciplina agevolativa, al pari di quanto era stato rilevato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 21/2015 (§ 3.8), secondo cui la disciplina antielusiva trovava applicazione a prescindere dalla sussistenza di un rapporto di controllo.

Per quanto riguarda il secondo aspetto sono invece necessarie considerazioni ulteriori in quanto, mentre l’art. 10 comma 1 lettera d) del DM 14 marzo 2012 faceva un espresso riferimento ai soggetti domiciliati in Stati o territori non appartenenti alla white list, la nuova norma menziona i “soggetti diversi da quelli domiciliati in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni”, Stati o territori che solo in via interpretativa la Relazione al DM 3 agosto 2017 individua negli Stati appartenenti alla white list.

Il problema nasce dal fatto che, sempre secondo la Relazione, dovendosi considerare ai fini della disciplina anti abuso tutte le movimentazioni di denaro intervenute dal 1° gennaio 2011, non potrebbero dirsi incluse nella white list a questi specifici fini le giurisdizioni entrate nella lista dopo tale data. Il problema ha una sua specifica rilevanza alla luce del fatto che l’inclusione di molti Stati nella white list è avvenuta con i DM 9 agosto 2016 e 23 marzo 2017 (un caso per tutti, la Svizzera, ma il discorso può essere esteso a San Marino, entrato nella lista solo con l’intervento del DM 29 dicembre 2014), e che quindi non avrebbe importanza, ai fini della disapplicazione della disciplina anti abuso, che al momento di presentazione della dichiarazione lo Stato di localizzazione del conferente estero sia invece incluso nella white list.

Quand’anche la linea interpretativa della Relazione dovesse essere confermata, andrebbe pur sempre tenuto conto che la norma non menziona espressamente la non appartenenza alla white list dello Stato estero come fattore di innesco della disciplina anti abuso, limitandosi come detto a prevedere l’assenza di strumenti per lo scambio di informazioni.
Potrebbe quindi darsi un’interpretazione differente, tesa a valorizzare la presenza di strumenti per lo scambio di informazioni (ad esempio, le procedure previste dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni) che consentissero alla data “spartiacque” del 1° gennaio 2011 l’acquisizione dei dati dallo Stato estero con la procedura su richiesta; proprio nell’ambito della “ricostruzione” della white list avvenuta nel 2016/2017 il procedimento è, infatti, avvenuto come logico all’inverso, prima valutando la sussistenza di strumenti per lo scambio che già sussistevano e poi, a seguito della valutazione positiva, inserendo lo Stato nella white list, in certi casi con un ritardo sensibile. Ciò potrebbe comunque trovare un limite nel fatto che alcune Convenzioni, pur prevedendo lo scambio, non risultavano conformi all’art. 26 paragrafi 4 e 5 del modello OCSE (in particolare, per la possibile opponibilità del segreto bancario) e sono state rese conformi solo dopo il 1° gennaio 2011 (il caso della Svizzera è tale).