Esclusa ogni sovrapposizione tra l’attenuante di cui all’art. 323-bis c.p. e la non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p.
La particolare tenuità del fatto è una nozione già da tempo presente nell’ordinamento penale italiano.
Tra le circostanze attenuanti comuni si trova il concetto di “speciale tenuità” del danno o del profitto conseguito nell’ambito dei reati contro il patrimonio (art. 62 n. 4 c.p.).
Dal punto di vista processuale, la legge che disciplina i procedimenti penali di competenza del giudice di pace, ha introdotto, a far data dal 2000, una causa di non procedibilità per particolare tenuità del fatto (art. 34 del DLgs. 274/2000, che disciplina l’improcedibilità dei reati c.d. “bagatellari”). Con il DLgs. 28/2015 è stato inserito nel codice penale l’art. 131-bis c.p. che prevede, per i reati per i quali è stabilita la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, che sia esclusa la punibilità quando l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
Gli elementi costitutivi della particolare tenuità vengono desunti principalmente attraverso gli indici enunciati dall’art. 133 n. 1 c.p.: natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell’azione. La “ratio” deriva sia dal principio di offensività – che sebbene non espressamente riconosciuto dall’ordinamento, si ritiene ormai immanente ad esso – sia dal principio di proporzione tra disvalore del fatto e sanzione applicata.
Sempre nel diritto penale sostanziale, l’art. 323-bis comma 1 c.p. prevede una circostanza speciale attenuante della pena per alcuni dei più gravi reati contro la Pubblica Amministrazione, fondata sulla “particolare tenuità”. Tale norma è stata per la prima volta prevista dalla L. 86/1990 ed è applicabile quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato.
In un caso di recente portato all’attenzione della Cassazione, i giudici di merito avevano escluso la sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 323-bis c.p. ritenendo che la condotta dell’imputato si fosse caratterizzata come “arrogante ed offensiva”. Si trattava di un tentativo di corruzione nei confronti di un brigadiere nel corso di un controllo effettuato dalla Guardia di Finanza presso un esercizio commerciale. Il titolare di tale esercizio aveva offerto al pubblico ufficiale responsabile del controllo la somma di 350 euro, pronunziando la fase “questi per offrirvi un caffè” (Cass. n. 40928/2017).
Una tale condotta integra il reato di istigazione alla corruzione e per tale reato il ricorrente era stato condannato ad un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione. L’art. 322 comma 2 c.p. punisce, infatti, chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio per omettere o ritardare un atto del suo ufficio, ovvero compiere un atto contrario ai suoi doveri, qualora l’offerta o la promessa non siano accettate.
Le istanze difensive rappresentate alla Corte di Cassazione evidenziavano come si trattasse nella specie di un fatto che, valutato nella sua globalità, risultava di natura non particolarmente grave, anche in considerazione dell’entità del danno provocato, non avendo prodotto alcun turbamento dei pubblici ufficiali nelle loro funzioni.
La Cassazione accoglie tali argomentazioni, annullando la condanna con rinvio per un nuovo giudizio che prenda in considerazione il “goffo tentativo” (secondo le parole dei giudici di legittimità) posto in essere dall’imputato di porre all’interno della tasca posteriore dei pantaloni del pubblico ufficiale il prezzo della corruzione.
L’istigazione alla corruzione per un atto contrario ai doveri dell’ufficio è punita con la pena prevista dal reato perfezionato (art. 319 c.p.) – da sei a dieci anni di reclusione – ridotta di un terzo.
Pertanto, in presenza degli altri requisiti previsti dalla norma, l’accertamento di un fatto particolarmente tenue potrebbe comportare anche la non punibilità dello stesso.
Va ricordato, in proposito, che il comma 5 dell’art. 131-bis c.p. stabilisce espressamente che la speciale causa di non punibilità si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuitàdel danno o del pericolo come circostanza attenuante. Tuttavia, in un caso simile a quello citato, la Cassazione ha precisato che, anche in presenza di un danno di speciale tenuità, non è obbligata l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.: l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto deve infatti basarsi su di una valutazione complessa, che tenga conto anche della condotta e della colpevolezza (Cass. n. 46255/2016).
In tale circostanza la Corte ha anche escluso ogni sovrapposizione tra l’attenuante di cui all’art. 323-bis c.p. e la non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., essendo “la prima fondata sulla particolare tenuità del fatto, la seconda sulla particolare tenuità dell’offesa”.