Se le spese sono di competenza del proprietario, l’operazione può essere considerata antieconomica

Di Alfio CISSELLO

Ieri, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14853, ha sancito che, al ricorrere di determinate condizioni, non può essere detratta l’IVA pagata in relazione a spese di ristrutturazione dell’immobile locato dal professionista in cui lo stesso svolge l’attività professionale.
Nella sentenza non si fa cenno al recupero ai fini delle imposte sui redditi, ma solo al disconoscimento della detrazione IVA.

Il tema, sia in passato sia di recente, è stato oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali anche contrastanti.
Si erano pronunciate anche le Sezioni Unite con la sentenza n. 11533 dell’11 maggio 2018, affermando a livello generale che il diritto alla detrazione sussiste in relazione ai lavori di ristrutturazione o manutenzione eseguiti su immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima è potenziale o di prospettiva e non sia stato possibile esercitarla concretamente per cause estranee al soggetto passivo.

I giudici, nella sentenza di ieri, sanciscono che non si trattava di un semplice adattamento dell’immobile, ma di una vera e propria ristrutturazione, dunque in buona sostanza l’inerenza è stata ritenuta insussistente in ragione della supposta palese antieconomicità dell’operazione.

È stato ritenuto corretto il ragionamento del giudice di merito che ha valorizzato la descrizione delle opere così come da capitolato allegato al contratto di locazione.
Trattandosi di completa ristrutturazione (rimozione del manto di copertura dell’edificio, rifacimento degli impianti tecnologici, demolizione e rifacimento della pavimentazione esterna e interna, sostituzione delle tubature) si esorbitava dal semplice adattamento dell’immobile alle esigenze dell’attività professionale, implicando “il venir meno del requisito della pertinenza della spesa allo svolgimento della libera professione del ricorrente”.

Uno dei motivi alla base del recupero dell’IVA consisteva nel fatto che, in base alle ordinarie norme civilistiche, le spese avrebbero dovuto essere a carico del proprietario. Dalla sentenza sembra di capire che le spese non sono state scomputate dai canoni di locazione e sono rimaste effettivamente a carico del conduttore professionista.

In tema di IVA, si riprende l’orientamento in base al quale la detrazione può essere disconosciuta se “l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione sia tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad I.V.A” (Cass. 14 giugno 2019 n. 16010 e 17 luglio 2018 n. 18904).

In sostanza, è vero che varie volte la giurisprudenza ha sancito che, per poter contestare l’inerenza sotto il profilo dell’antieconomicità, l’accertamento deve essere sorretto da presunzioni gravi, precise e concordanti ed essere formalmente basato non sulla violazione dell’art. 109 del TUIR ma ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) del DPR 600/73 (cfr. l’ormai famosa sentenza Cass. 11 gennaio 2018 n. 450).
Tuttavia, se, nel contempo, si afferma che quando la spesa è palesemente non congrua, ciò è automaticamente espressione di presunzioni gravi, previse e concordanti, il tutto si risolve in un nulla di fatto.