Tale utilizzo è, però, vincolato al preventivo utilizzo delle riserve di patrimonio netto distribuibili

Di Maurizio MEOLI

La riserva non distribuibile costituita ai sensi dell’art. 2426 comma 1 n. 4 c.c. – mediante la valutazione secondo il criterio del patrimonio netto, in luogo di quello del costo d’acquisto, delle partecipazioni in società controllate – può essere utilizzata a copertura di eventuali perdite solo dopo ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio. Diversamente, infatti, si verificherebbe la “liberazione” della riserva dal suo status di maggiore tutela prima che le altre riserve siano state utilizzate, in contrasto con la ratio della disposizione.
Ad affermarlo è la sentenza n. 14210 della Cassazione, depositata ieri.

Si osserva, innanzitutto, come il nostro ordinamento giuridico continui a considerare il capitale sociale come uno strumento di tutela contro la tendenza a traslare il rischio verso terzi (si pensi alle disposizioni sulla riduzione del capitale sociale, ex artt. 24452447 c.c., e sulla distribuzione degli utili, ex art. 2433 c.c.). Esso, inoltre, assolve a una funzione informativa e di emersione di situazioni di crisi.
Ciò nonostante l’emersione di una tendenza legislativa tesa a ridimensionare la funzione del capitale sociale (si pensi, ad esempio, alla disciplina delle srl semplificate e a capitale ridotto, nonché alla possibilità di effettuare conferimenti privi di stima).

Similmente, il criterio prudenziale nella predisposizione del bilancio è stato affiancato da altri che hanno favorito l’emersione dei valori patrimoniali reali. A ogni modo, pur ammettendosi la stima dell’elemento oggetto di valutazione secondo il suo valore effettivo, è dovuto il rispetto della norma di redazione e dei precetti – di solito prudenziali – che ad essa si accompagnano, perché solo in tal modo il bilancio può considerarsi rispettoso dei principi di chiarezza, verità e correttezza.

In tale contesto, la rivalutazione, in sede di redazione di bilancio, delle partecipazioni in imprese controllate o collegate ex art. 2426 comma 1 n. 4 c.c., rappresenta una deroga alla regola prudenziale del costo storico, ma la logica prudenziale riemerge imponendosi la costituzione di una riserva non distribuibile ai soci (ciò per il rischio di distribuzione di utili solo sperati e, di fatto, di restituzione di patrimonio ai soci, con lesione dell’integrità del capitale sociale).

Sul tema, peraltro, la Cassazione, nella sentenza n. 10096/2020, ha già avuto modo di precisare come l’operazione rappresenti una scelta discrezionale rimessa all’organo gestorio, che ha la facoltà, e non l’obbligo, di valutare le menzionate immobilizzazioni finanziarie con il metodo del patrimonio netto, seguendo le modalità indicate dalla norma, invece di iscriverle al costo di acquisto.

Ciò detto, la decisione in commento evidenzia come, in linea teorica, una riserva possa essere utilizzata per differenti scopi: riduzione diretta di eventuali perdite; aumento gratuito di capitale; distribuzione ai soci come utili.
Per tali utilizzi rilevano le riserve disponibili. Ove, però, una riserva dovesse essere disponibile ma non distribuibile (si pensi a quelle previste dagli artt. 5 del DLgs. 38/2005 e 21 comma 4 del DLgs. 213/1998), ne sarebbe preclusa la distribuzione ai soci, ma non l’utilizzo ai fini della riduzione delle perdite di esercizio.

Le perdite di capitale, infatti, consentono o impongono alla società di procedere alla relativa riduzione, a seconda della loro entità in rapporto al capitale. A rilevare, peraltro, è la “perdita netta”, ossia al netto delle riserve e delle poste di bilancio idonee a ridurla, prima di operare sul capitale (cfr. Cass. nn. 8221/2007 e 5740/2004).
Ciò – conclude la Suprema Corte – sta a significare che, così come non sussiste l’obbligo né la facoltà di ridurre il capitale per perdite ex artt. 24462447 c.c. qualora non esista una perdita nel senso indicato, allo stesso modo viene meno la perdita rilevante ove sia imputata direttamente una posta disponibile a relativa copertura.

E allora, se il capitale sociale può essere eliso dalle perdite solo dopo l’assorbimento delle riserve sulla base di un ordine successivo, il quale comporta l’imputazione delle medesime secondo una progressione rigida, dalla riserva meno vincolata e più disponibile a quella più vincolata e, quindi, meno disponibile, allo stesso modo si può dire che le riserve appostate al passivo dello Stato patrimoniale di una società di capitali possono essere imputate a riduzione delle perdite (salvo diversa specifica previsione normativa) solo in un ordine di progressiva minore disponibilità, eventualmente residuando l’operazione di riduzione del capitale sociale.
In tale ordine, la riserva in questione, essendo costituita da un valore solo “stimato” e non ancora “realizzato”, ed essendo per questo targata come non distribuibile, è utilizzabile a copertura delle perdite solo in mancanza in bilancio di poste del netto più liberamente disponibili; ovvero dopo ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio.