Nel corso del procedimento il pubblico ministero può chiedere il fallimento e le misure cautelari

Di Saverio MANCINELLI

La Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte di Cassazione il 17 novembre 2021 ha licenziato delle linee guida su “Il ruolo del pubblico ministero nella crisi d’impresa tra legge fallimentare Codice della crisi e dell’insolvenza e decreto-legge n. 118/2021”, che, sostanzialmente, sono un prontuario a disposizione dei pubblici ministeri svolgenti funzioni civili nella regolazione della crisi e dell’insolvenza.

Il ruolo del PM è stato ampliato dal Codice della crisi e dell’insolvenza (DLgs. 14/2019, in breve CCII) la cui entrata in vigore è differita al 16 maggio 2022, per l’intervento di cui all’art. 1 del DL 118/21 conv. L. 147/2021. Il medesimo intervento ha, altresì, posticipato al 31 dicembre 2023 l’entrata in vigore delle disposizioni in materia di allerta e composizione assistita della crisi; conseguentemente è posticipata a tale data l’entrata in vigore dell’art. 22 del CCII in tema di segnalazione al PM delle situazioni di insolvenza, emergenti nel procedimento di composizione assistita.

In ogni caso, il generale dovere di segnalazione al PM di uno stato di insolvenza, emergente nell’ambito di un procedimento civile, trova il suo fondamento nell’art. 7 comma 2 del RD 267/42, che viene “ripercorso” dall’art. 38 comma 2 del CCII, anche se con modalità totalmente svincolate dalle fattispecie contenute nella norma fallimentare (fuga, irreperibilità, latitanza dell’imprenditore; chiusura dei locali dell’impresa; trafugamento, sostituzione, diminuzione fraudolenta dell’attivo).
In tema di crisi d’impresa il PM, con compiti civilistici, è parte pubblica, legittimata a intervenire in tutti i procedimenti, con il duplice compito di agire per la rapida emersione della crisi e di garantire il corretto svolgimento delle procedure di soluzione della stessa.

In tale ottica il PM è collettore della notitia decotionis al fine della tutela delle posizioni soggettive coinvolte, dove la sua iniziativa si realizza con la proposizione della richiesta di apertura del fallimento /liquidazione giudiziale e con la partecipazione a tutte le procedure di regolazione della crisi dell’imprenditore.

La valutazione del PM sulla richiesta al tribunale competente di apertura della procedura fallimentare va effettuata anche tenendo conto dell’attuale “generale” finalità del legislatore – che è quella del salvataggio dell’impresa, per il mantenimento della produzione e dei livelli occupazionali – e va bilanciata in relazione al contesto economico di riferimento, con un’accurata analisi delle cause della crisi e sulla sua possibile reversibilità.

Nelle altre procedure di regolazione della crisi diverse dalla liquidazione giudiziale, il PM partecipa con riferimento al rilievo di profili patologici e con attenzione rivolta a eventuali atti in frode, che possono, ad esempio, determinare la richiesta di revoca di ammissione della proposta di concordato o di diniego dell’omologazione.

Gli atti in frode sono intesi nella nozione civilistica e sono quelli che, se conosciuti, avrebbero condotto i creditori a diversa determinazione sulla scelta di aderire o meno alle proposte del debitore, o possono consistere in comportamenti distrattivi o in operazioni di straordinaria amministrazione non autorizzate. L’iniziativa del PM nel caso di atti in frode, prevista dall’art. 173 del RD 267/42, è amplificata nelle disposizioni del CCII di cui all’art. 73 comma 2 (conversione in procedura liquidatoria), all’art. 80 comma 6 (omologazione del concordato minore), all’art. 83 comma 2 (conversione in procedura liquidatoria), che, al pari di quanto previsto dall’art. 106 comma 3 (atti di frode e apertura della liquidazione giudiziale nel corso della procedura, con riferimento al concordato preventivo), richiamano la legittimazione del PM alla richiesta della liquidazione controllata.

Le linee guida della Procura generale si occupano anche del ruolo del PM in tema di composizione negoziata della crisi d’impresa, di cui al DL 118/2021 convertito, che è un procedimento di mediazione stragiudiziale il cui requisito oggettivo è “omnicomprensivo”, abbracciando tutte le possibili tipologie della crisi, da quella embrionale a quella dello stato di insolvenza conclamato, sia pur potenzialmente reversibile.

Per tale istituto, ai sensi dell’art. 6 comma 4 del DL 118/2021, dal giorno della pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1 e fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, la sentenza di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata.

L’indicazione fornita dalla Procura generale è quella evidenziante che dalla pubblicazione dell’istanza, fino all’archiviazione della composizione negoziata, si impedisce (soltanto) l’apertura della procedura di liquidazione, ma non l’instaurazione o la prosecuzione dei procedimenti per la dichiarazione di fallimento o l’accertamento dello stato di insolvenza.
Ne deriva che, nel corso del procedimento di composizione, il PM può depositare richiesta per la dichiarazione di fallimento, o mantenere ferma quella già depositata, e anche chiedere, ove ne ricorrano le condizioni, le misure cautelari di cui all’art. 15 comma 8 del RD 267/42 (tra cui, non si esclude, il sequestro giudiziario dell’azienda, conferendo al custode i poteri di amministrazione dell’impresa debitrice).