Sull’utilizzabilità della presunzione anche nei giudizi pendenti la Corte d’Appello di Roma si pone in contrasto con quella di Catania
In relazione alla disciplina introdotta dal Codice della crisi (DLgs. 14/2019) in materia di determinazione dei danni imputabili agli amministratori di società per indebita prosecuzione dell’attività sociale, in vigore dal 16 marzo 2019, sussistono differenti ricostruzioni circa l’applicabilità o meno ai giudizi già pendenti alla medesima data.
L’art. 378 comma 2 del DLgs. 14/2019, si ricorda, ha aggiunto all’art. 2486 c.c. un terzo comma secondo il quale, quando è accertata la responsabilità degli amministratori che, nonostante il verificarsi di una causa di scioglimento della società, non si siano limitati a gestire la stessa a soli fini conservativi, “salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”.
La norma, come detto, ex art. 389 comma 2 del DLgs. 14/2019, è entrata in vigore il 16 marzo 2019.
Con riferimento alla quantificazione del danno secondo il criterio dei “netti patrimoniali”, quindi, è stata introdotta nel sistema una presunzione “relativa” (iuris tantum), con la possibilità di fornire la prova di un diverso ammontare. Il legislatore, in particolare, ha previsto una presunzione legale invertendo l’onere della prova; ovvero dispensando colui che agisce per far valere la responsabilità degli amministratori dall’onere probatorio che su di esso graverebbe secondo i principi generali.
Secondo la sentenza n. 2649/2021 della Corte d’Appello di Roma, tale disposizione sarebbe da applicare anche ai processi in corso. Ciò in quanto si sarebbe in presenza di una norma di natura processuale, per la quale, in virtù del principio tempus regit actum, l’atto processuale sarebbe soggetto alla disciplina vigente al momento in cui viene compiuto, sebbene successiva all’introduzione del giudizio.
Inoltre l’incipit della norma – “quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo…” – indurrebbe a ritenere che essa si applichi allorché venga giudizialmente accertata la responsabilità degli amministratori e, quindi, anche ai giudizi in corso che approdino a tale accertamento.
Determinante, infine, sarebbe il rilievo che la nuova legge non ha affatto rinnovato o regolato il fatto o l’atto generatore della responsabilità, ovvero la gestione a fini non esclusivamente conservativi di una società in relazione alla quale si sia già registrata una causa di scioglimento. La norma disciplinerebbe solo gli effetti non ancora esauriti del fatto come previsto ai commi precedenti (vale a dire l’ammontare del risarcimento del danno).
Di conseguenza, conclude la decisione della Corte d’Appello di Roma, dovrebbe valere quanto sostenuto dalla Cassazione, nella sentenza n. 3231/1987, dove si è affermato che “la legge sopravvenuta deve essere comunque applicata quando il rapporto giuridico disciplinato, sebbene sorto anteriormente, non abbia ancora esaurito i suoi effetti e purché la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto o l’atto generatore del rapporto ma gli effetti di esso”.
Secondo la sentenza n. 136/2020 della Corte d’Appello di Catania, invece, tale incedere finirebbe per rendere deteriore la posizione processuale del convenuto.
Gli si imporrebbe, infatti, un onere probatorio che non sapeva di dover affrontare nel momento in cui il processo aveva avuto inizio, con le relative conseguenze circa le scelte di strategia difensiva da proporre in giudizio. A supporto di tale decisione, i giudici catanesi ricordano come la Cassazione abbia riconosciuto come, in mancanza di norme che dispongano diversamente, il processo civile sia regolato nella sua interezza dal rito vigente al momento della proposizione della domanda; non attribuendosi, altrimenti, adeguato rilievo all’affidamento legislativo sotteso all’art. 11 disp. gen. c.c. (cfr. Cass. n. 20811/2010).
Analogamente, con riguardo all’impatto del c.d. ius superveniens sulla materia della equa riparazione per ingiusta durata del processo, i giudici di legittimità hanno affermato che – in assenza di norme che dispongano diversamente, e perciò proprio in forza dell’art. 11 disp. gen. c.c., senza che rilevi la natura sostanziale o processuale della disciplina – la stessa non possa che applicarsi avendo riguardo al momento della proposizione della domanda (cfr. Cass. n. 25542/2019).