Impossibile applicare retroattivamente l’art. 12-bis del DLgs. 74/2000, stante la natura soprattutto sanzionatoria della confisca per equivalente

Di Maria Francesca ARTUSI

La riforma penale tributaria del 2015 ha ampliato l’ambito della confisca, sia diretta che per equivalente, anche al reato di occultamento o distruzione dei documenti contabili. L’art. 12-bis del DLgs. 74/2000 prevede, infatti, oggi la confisca obbligatoria in caso di condanna per tutti i reati tributari previsti dal medesimo decreto.

Prima del DLgs. 158/2015, la confisca di cui all’art. 322-ter c.p., grazie al rinvio di cui all’art. 1 comma 143 della L. 244/2007, non era invece applicabile al delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili. Quest’ultimo quindi era l’unico reato per il quale era escluso il provvedimento della confisca. Parte della dottrina aveva motivato la precedente esclusione per il fatto che il reato in questione, a differenza degli altri delitti tributari, non genera un’imposta evasa ma soltanto un’attività di ostacolo all’accertamento; in realtà si è verificato in varie occasioni che l’imposta evasa è stata proprio quantificata nella maggiore imposta rettificata dagli uffici.

La giurisprudenza si è pronunciata sul punto ma non sempre in modo univoco. Alcune pronunce hanno escluso l’applicabilità della confisca per equivalente al reato in esame perché non era prevista dalla legge, altre hanno consentito l’applicabilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente utilizzando i riferimenti del DLgs. 231/2001, in quanto, sebbene il reato fosse addebitabile alla persona fisica, le conseguenze patrimoniali ricadono sulla società a favore della quale la persona fisica ha agito.

Tra l’altro, si deve tenere presente che in tema di reati finanziari e tributari, la confisca per equivalente prevista dall’art. 322-ter c.p., non è mai stata estensibile ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge finanziaria 2008 (L. n. 244/2007), non rilevando la circostanza che la legge non abbia stabilito espressamente l’irretroattività della norma in sede d’estensione dell’applicazione della misura di sicurezza patrimoniale ai predetti reati (in questo senso Cass. n. 39172/2008).

Come detto, il DLgs. 158/2015 ha ulteriormente superato queste norme, introducendo con il citato art. 12-bis una fattispecie di confisca che ricalca esattamente l’art. 322-ter c.p.: la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei delitti previsti dal DLgs. 74/2000 deve essere sempre disposta nel caso di condanna o di sentenza di applicazione concordata della pena. La giurisprudenza ha in proposito ritenuto che vi fosse piena continuità normativa tra le due disposizioni appena indicate (Cass. n. 50338/2016).
Con una differenza: la norma previgente individuava espressamente i delitti tributari in relazione ai quali erano applicabili le disposizioni di cui all’art. 322-ter c.p. e, tra questi, non era contemplato il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, previsto e punito dall’art. 10 del DLgs. 74/2000 in relazione al quale, pertanto, non poteva essere disposta la confisca a norma della disposizione in esame.

Alla luce di tale ricostruzione, la sentenza n. 39350 della Cassazione, depositata ieri, ha affermato l’impossibilità di applicare retroattivamente la disposizione dell’art. 12-bis, stante la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, come già affermato dalle Sezioni Unite in relazione alla precedente ipotesi di confisca introdotta per i reati tributari dalla L. 244/2007; principio che, ovviamente, vale anche per la “nuova” confisca stante l’indicata continuità normativa tra le due disposizioni (Cass. SS.UU. n. 18374/2013).

Nel caso affrontato da tale sentenza, in effetti, le condotte si erano perfezionate in epoca antecedente al 20 ottobre 2015, data di entrata in vigore del DLgs. 158/2015 e dunque dell’art. 12-bis citato. Per tale ragione la confisca non poteva essere disposta.

Si noti che con riferimento alla consumazione del reato (rilevante anche ai fini della normativa applicabile), l’occultamento, a differenza della distruzione, dà luogo ad un reato permanente perché l’obbligo di esibizione perdura finché è consentito il controllo fiscale, con la conseguenza che la condotta antigiuridica si protrae nel tempo a discrezione del reo, il quale, a differenza della distruzione, ha il potere di fare cessare l’occultamento esibendo i documenti.

Il reato permanente, infatti, si distingue da quello istantaneo proprio perché, perdurando la fase di consumazione del reato, il soggetto attivo ha la possibilità di fare cessare in qualsiasi momento la perdurante condotta antigiuridica. La permanenza cessa allorché scade l’obbligo della conservazione o per altre cause (sequestro della documentazione, chiusura dell’accertamento fiscale).

D’altra parte occultare un documento non significa solo nasconderlo ma anche mantenerlo nascosto e siccome l’occultamento, per essere punito, deve avere avuto incidenza, sia pure relativa, sulla ricostruzione dei redditi o del volume di affari, la condotta antigiuridica perdura finché esiste in favore dell’amministrazione il potere di controllare l’ammontare dei redditi o del volume d’affari.