L’astratta configurabilità di un reato allunga i termini di prescrizione

Di Maurizio MEOLI

Il Tribunale di Palermo, nella sentenza n. 1305/2021, si sofferma su interessanti profili relativi alla responsabilità degli amministratori.
Quando l’azione di responsabilità è esercitata dal curatore comprende in sé sia quella sociale che quella posta a tutela dei creditori sociali, presentando, dunque, una duplice natura: contrattuale, l’azione sociale di responsabilità nei confronti di amministratori, liquidatori e sindaci; extracontrattuale, l’azione posta a tutela dei creditori sociali. Ciò con le relative conseguenze in tema di onere della prova.

Nella valutazione della responsabilità non è consentito sindacare il c.d. merito gestorio, poiché l’obbligazione contratta dall’organo amministrativo è di natura professionale. Si tratta di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori gli esiti dannosi di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte (c.d. business judgment rule).

Con particolare riguardo alla responsabilità verso i creditori sociali, poi, è da considerare come, in ogni caso, non si tratti di una responsabilità oggettiva; per cui occorre pur sempre una condotta almeno negligente dell’amministratore, accanto al verificarsi di una situazione di insufficienza patrimoniale. Pertanto, ai fini della responsabilità verso i creditori sociali rileva ogni violazione che cagioni o concorra a cagionare una diminuzione del patrimonio rendendolo insufficiente (cfr. Cass. n. 31204/2017).

Di per sé, comunque, non assumono rilevanza le irregolarità formali nella tenuta della contabilità, pur specificamente contestate e documentalmente riscontrabili, così come l’omessa presentazione dei bilanci, dal momento che a esse non è ricollegabile la produzione di uno specifico danno; infatti, le scritture contabili non determinano gli accadimenti, ma si limitano a descriverli (cfr. Cass. SS.UU. n. 9100/2015).

I giudici palermitani sottolineano, inoltre, che, in presenza della perdita del capitale sociale, ex art. 2482-ter c.c., incombe sugli amministratori l’obbligo di sottoporre all’assemblea la delibera di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale, ovvero di porre la società in liquidazione ex art. 2484 c.c. Dopo il verificarsi della causa di scioglimento della società l’art. 2485 c.c. impone agli amministratori l’obbligo di attenersi a una gestione meramente conservativa. Sicché i danni derivanti da una gestione che esuli dall’unica finalità consentita divengono pienamente imputabili alla scelta amministrativa di proseguire nella “normale” attività sociale; né tale scelta può considerarsi insindacabile, dovendo ritenersi palese l’effetto dannoso della prosecuzione dell’attività in crescente perdita. In tale contesto, in pratica, l’antieconomicità dell’attività d’impresa non è un elemento imprevedibile e connaturale al rischio d’impresa. Perciò esula dal merito gestorio – per sua natura insindacabile – e si trasforma in condotta imputabile perché fuori da criteri di ragionevolezza.

L’effetto della suddetta prosecuzione è l’incremento esponenziale del passivo, cui si accompagna un deprezzamento dell’attivo, con conseguente incremento del deficit patrimoniale. Il danno conseguente può essere determinato guardando alla differenza tra il patrimonio netto calcolato alla data del fallimento e alla data in cui la società avrebbe dovuto essere posta in liquidazione, previa rettifica dei bilanci in prospettiva liquidatoria e detratti i costi ineliminabili, ovvero che sarebbero stati sostenuti ugualmente anche laddove fosse stata aperta la fase di liquidazione.

Quanto al termine quinquennale di prescrizione, infine, la decisione in commento sottolinea come, con riguardo all’azione sociale di responsabilità, sia necessario considerare la sospensione del termine per la durata della carica, prevista dall’art. 2941 n. 7 c.c., con la conseguenza che solo da quella data il termine inizia a decorrere.

In relazione all’azione dei creditori sociali, invece, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e si sia avuta, dunque, evidenza delle condotte e del danno, nonché dell’incapienza del patrimonio sociale. Occorre, cioè, guardare non già al momento in cui l’insufficienza patrimoniale si verifica, ma a quello in cui si manifesta, diventando oggettivamente conoscibile da parte dei creditori, per il tramite di fatti sintomatici di assoluta evidenza. In difetto della prova del fatto obiettivo che avrebbe reso conoscibile l’incapienza ai creditori sociali prima del fallimento, la conoscibilità si fa coincidere con tale evento (Cass. n. 24715/2015). Peraltro, l’astratta riconducibilità delle condotte nell’alveo di fattispecie di rilevanza penale determina, ex art. 2947 comma 3 c.c., l’applicazione del termine prescrizionale del reato.

Alcuni dei profili esaminati dal Tribunale di Palermo sono oggetto del percorso specialistico “Il consiglio di amministrazione: fra adeguati assetti organizzativi e business judgment rule” in programma oggi e il prossimo 3 novembre.