Impossibile, anche in esito alla riforma, ricondurre il caso alle ipotesi di nullità o di annullabilità

Di Maurizio MEOLI

È inesistente la delibera assembleare di società di capitali assunta con la sola partecipazione di soggetti privi della qualità di socio della stessa.
È questo il principio di diritto affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 26199/2021.

Si ricorda che, anteriormente alla riforma del diritto societario – pur in assenza di uno specifico fondamento normativo nel contesto della disciplina dell’invalidità delle delibere assembleari – si faceva riferimento all’inesistenza della delibera assembleare ove l’incompletezza della fattispecie risultasse così grave da escluderne la riconducibilità a un determinato tipo legale. Perché una norma giuridica non può sanzionare direttamente l’inesistenza, in quanto la norma, per essere applicabile, presuppone che una fattispecie esista, per quanto viziata. L’inesistenza era stata, tra l’altro, ravvisata nei casi di omessa convocazione (di tutti o di alcuni) dei soci o di deliberazione adottata con una maggioranza alla formazione della quale avessero concorso persone prive del diritto di voto.

In esito alla riforma del diritto societario, nonostante una disciplina in materia molto più dettagliata e, come dichiarato dalla relazione illustrativa, espressamente finalizzata all’esclusione di ipotesi atipiche di invalidità, come l’inesistenza, la dottrina e la giurisprudenza hanno riscontrato solo un mero indebolimento di tale figura, che sarebbe comunque rimasta “viva e vitale”.
D’altra parte, l’inesistenza risulta essere una categoria logica e non una (possibile) fattispecie giuridica: sicché su di essa è impossibile per la legge incidere in modo definitivo.

A fronte di ciò, la decisione in commento ritiene preferibile la ricostruzione che ravvisa l’inesistenza della delibera assembleare esclusivamente quando lo scostamento della realtà dal modello legale risulti così marcato da impedire di ricondurre l’atto alla categoria stessa di deliberazione assembleare; e cioè in relazione alle situazioni nelle quali l’evento storico al quale si vorrebbe attribuire la qualifica di deliberazione assembleare si è realizzato con modalità non semplicemente difformi da quelle imposte dalla legge o dallo statuto sociale, ma tali da far sì che la carenza di elementi o di fasi essenziali non permetta di scorgere in esso i lineamenti tipici dai quali una deliberazione siffatta dovrebbe esser connotata nella sua materialità.

Non convincente, invece, è reputato l’indirizzo che muove dalla convinzione secondo la quale per l’esistenza della fattispecie sarebbe necessaria e sufficiente una “parvenza” di delibera, vale a dire la formale, esteriore, apparente provenienza della decisione dalla maggioranza del capitale sociale richiesta dalla legge o dallo statuto.

E allora, sebbene sia innegabile l’intenzione del legislatore, è altrettanto vero che le ipotesi di nullità oggi considerate dall’art. 2379 c.c. si riferiscono ai casi in cui ci si trova in presenza di un atto formale comunque imputabile alla società (mancata convocazione dell’assemblea, mancanza di verbale o impossibilità o illiceità dell’oggetto). Il tutto presuppone, dunque, che si sia tenuta un’assemblea della società che, seppure non convocata, sia qualificabile come tale, cioè abbia visto la presenza (o meglio, la partecipazione ad essa) quanto meno di un socio della società medesima. Invece, nell’ipotesi estrema di “assemblea” caratterizzata dalla presenza (partecipazione alla stessa) esclusivamente di soggetti privi della qualifica di soci, la deliberazione da essa eventualmente espressa nemmeno potrebbe ragionevolmente considerarsi alla stregua di un atto astrattamente imputabile alla società, finendo per essere estraneo alla categoria (assemblea) contemplata dagli artt. 2377 e ss. c.c.
In definitiva, non basta una qualsiasi votazione per potere configurare l’esistenza di una deliberazione societaria, essendo, per contro, necessario che la stessa provenga da un’assemblea della società che sia effettivamente qualificabile (perché partecipata da almeno uno dei suoi soci) come tale.

Nel caso della partecipazione di soli soggetti privi della qualità di socio, quindi, non può dirsi esistente un simulacro di deliberazione, munita di quei requisiti minimi per riconoscerla materialmente come tale, e alla quale applicare – per il caso di partecipazione di soggetto non legittimato – la previsione di cui all’art. 2377 comma 5 n. 1 c.c., ai sensi del quale, “la deliberazione non può essere annullata … per la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, salvo che tale partecipazione sia stata determinante ai fini della regolare costituzione dell’assemblea a norma degli articoli 2368 e 2369”.

In linea con la giurisprudenza di legittimità che ha sempre sostenuto l’inesistenza della deliberazione assembleare assunta da un’assemblea composta per intero da soci privi del diritto di voto, infatti, deve ritenersi collocabile in tale alveo anche il caso di una “deliberazione” scaturita da un’adunanza di soggetti – dichiaratisi soci di una società – cui abbiano però partecipato soltanto soggetti che di quella società non siano affatto soci. Concretizzandosi un’ipotesi di inesistenza materiale della delibera che risulta estranea alle invalidità di cui agli artt. 2377 e ss. c.c., non sussistendo un atto imputabile, in via astratta, alla società.