Per individuare i destinatari delle attività decommercializzate si valorizza la qualità di associato o socio o di tesserato alla federazione di riferimento

Di Maria Francesca ARTUSI

Il corretto inquadramento degli obblighi fiscali di un ente sportivo rileva ai fini della possibilità o meno di contestare il reato di omessa dichiarazione ai sensi dell’art. 5 del DLgs. 74/2000.

Tale norma prevede la punibilità, con la reclusione da due a cinque anni, per chiunque – al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto – non presenti, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a 50.000 euro.

Questione dirimente è dunque individuare chi vi è obbligato e la sentenza n. 35977 della Corte di Cassazione, depositata ieri, si sofferma sul possibile esonero delle attività svolte da una società sportiva dilettantistica in favore di soggetti che, pur affiliati alla associazione, non sarebbero stati tesserati presso l’ente sportivo di riferimento.

Secondo i giudici di merito, alla luce dell’art. 148 comma 3 del TUIR – applicabile anche dopo la riforma del Terzo settore – la decommercializzazione di talune attività svolte dagli enti contemplati dalla medesima norma pari ad un massimo di 250.000 euro, presupporrebbe, quanto alle associazioni sportive dilettantistiche (e quindi anche alle società sportive senza scopo di lucro), che si tratti di attività svolte in favore di soci o associati nel contempo tesserati presso la federazione di riferimento.

Tale impostazione considera il tesseramento alle organizzazioni nazionali necessario per attribuire al “partecipante” al sodalizio sportivo lo status di “effettivo partecipante”, come tale distinguibile da chi sia solo “occasionalmente tesserato”, che quindi sarebbe solo da qualificare come un comune cliente, esponendo così l’ente alla responsabilità anche penale per omessa dichiarazione in quanto non applicabile la normativa prevista dalla L. 398/91.

Per la Cassazione questa interpretazione non appare corretta. Dalla lettera della citata previsione, si evince, invece, che non si considerano commerciali innanzitutto le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti sia degli associati di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, sia nei confronti dei rispettivi associati oltre che dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.

La ratio della disposizione sarebbe, dunque, quella di favorire, anche a fini fiscali, l’espletamento di attività istituzionali dell’ente, identificate in quelle svolte in favore di soggetti aderenti direttamente al medesimo ovvero vincolati ad altre associazioni che svolgano la stessa attività e facciano parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, o anche solo tesserati presso le rispettive organizzazioni nazionali. Queste ultime due ipotesi si connotano per la valorizzazione, in luogo di uno stretto e diretto legame associativo con l’ente che espleti la specifica attività sportiva, di altri vincoli comunque espressivi di una stabile adesione del destinatario della prestazione del singolo ente, alla medesima attività sportiva di riferimento, individuati in rapporti associativi con altri enti della medesima organizzazione sportiva o con la stessa federazione sovraordinata.

Emerge con evidenza – nella sentenza in commento – l’ispirazione di fondo dell’art. 148 comma 3 citato, volta a legare il vantaggio fiscale alla promozione di attività sportive nei confronti di soggetti stabilmente e formalmente legati agli enti integranti il settore sportivo di comune riferimento, ovvero, per quanto possibile, stabili destinatari delle finalità sportive perseguite siccome tesserati alla federazione. Così da escludere, di converso, prestazioni non strumentali rispetto al perseguimento effettivo degli scopi istituzionali e come tali inquadrabili solo in meri rapporti di tipo commerciale.

In altri termini, la previsione del citato art. 148 comma 3 presuppone e promuove un sistema di regole all’interno delle quali le attività decommercializzate vengono circoscritte solo a quelle che appaiono realmente dirette in favore di coloro che sono parte effettiva della vita dell’ente e come tali risultano reali beneficiari e al tempo stesso attori delle finalità sportive perseguite.

Ne consegue la valorizzazione, per la individuazione dei destinatari delle attività decommercializzate, della qualità di associato o socio dell’ente o di tesserato alla federazione di riferimento. Mentre non appare sufficiente riferimento al mero iscritto o partecipante all’ente, quale ulteriore destinatario delle prestazioni in esame, non potendosi individuare in un mero “iscritto” o “partecipante” un soggetto realmente operativo nel contesto sportivo di riferimento, come invece accade per l’associato, socio o tesserato, titolari come tali di diritti e doveri, anche partecipativi, all’interno della compagine sportiva o comunque compartecipi stabilmente delle finalità della federazione (cfr. anche la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18 del 1° agosto 2018).