Credito da riportare nelle comunicazioni sociali, perché esistente, cospicuo e capace di incidere sensibilmente sulla situazione patrimoniale della società

Di Maria Francesca ARTUSI

L’omissione nel bilancio di un credito può integrare il delitto di false comunicazioni sociali laddove esso rappresenti un “fatto materiale rilevante la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società”, così come enunciato dall’art. 2621 c.c.

La giurisprudenza penale è dunque chiamata a soffermarsi sulle valutazioni di bilancio per verificare la veridicità dell’informazione e della comunicazione che deriva dalla lettura del bilancio stesso in tutte le sue componenti (Stato patrimoniale, Conto economico, rendiconto finanziario, Nota integrativa).
Sulla scorta delle Sezioni Unite n. 22474/2016, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 29889 depositata ieri, traccia alcune “linee guida” sul tema.

Nel caso in esame, era stato annullato dal Tribunale del riesame un sequestro preventivo a carico dell’amministratore e socio di una RSA per i reati di false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.), impedito controllo (art. 2625 c.c), infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.) e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 c.p.).
Le motivazioni si soffermano in particolare sul tema delle falsità consistite nella omessa indicazione in due bilanci di esercizio del credito vantato dalla RSA nei confronti della Regione Calabria a titolo di “aggiornamento tariffe”. Il Tribunale del riesame ritiene che il credito di cui si discute – indicato in 1.500.000 euro circa – non avrebbe dovuto essere iscritto in bilancio perché non liquido né esigibile. Secondo la Cassazione, però, tale soluzione è giuridicamente errata.

A supporto delle argomentazioni vengono richiamate innanzitutto le norme del codice civile, in cui il legislatore si fa carico di indicare la struttura e il contenuto del bilancio, detta i criteri di redazione dello stesso, impone canoni di valutazione e indica quale debba essere il contenuto della Nota integrativa.
In particolare, l’art. 2423 c.c. impone al redattore del bilancio l’elaborazione di un documento che rappresenti “in modo veritiero e corretto” tanto la situazione patrimoniale e quella finanziaria della società, quanto il risultato economico dell’esercizio; possono essere trascurati solo “i dati irrilevanti” ai fini della predetta rappresentazione, mentre è consentito discostarsi dai criteri valutativi fissati per legge (negli articoli seguenti) “in casi eccezionali” quando ciò possa essere di ostacolo proprio a quella esposizione veritiera e corretta dell’assetto societario.

Tuttavia, tale deroga non solo deve essere giustificata dalla situazione contingente, ma deve trovare esauriente spiegazione nella Nota integrativa (art. 2427 c.c.), la quale ha la funzione di “motivare la deroga e deve indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico”. Inoltre, “gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile, se non in misura corrispondente al valore recuperato”. La Nota integrativa rappresenta, quindi, la chiave di lettura del bilancio e l’esplicitazione dei criteri (e dell’eventuale deroga a tali criteri) di redazione dello stesso.

Viene ancora precisato dalla Cassazione che il bilancio è un documento dal contenuto essenzialmente valutativo, nel quale confluiscono dati certi, dati stimati e dati congetturali. La funzione del bilancio è quella di informazione e comunicazione: si forniscono, infatti, notizie sulla consistenza e sulle prospettive di un’azienda e ciò, evidentemente, non solo a garanzia dei diretti (e attuali) interessati, vale a dire i soci e i creditori, ma anche a tutela dei futuri e ipotetici soggetti che potrebbero entrare in contatto con la predetta azienda.

Venendo al caso di specie, rileva quanto previsto dal decreto n. 454/2015 della Regione Calabria, Dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie, secondo cui alle strutture di assistenza sanitaria extraospedaliera (come le RSA) viene riconosciuto il diritto a percepire dalla Regione le differenze, per la quota sanitaria (70%), relative alle prestazioni erogate dal 1° gennaio 2010 al 10 giugno 2015.
Per tale ragione si evidenzia come la società in questione ritenesse pacifica la sussistenza del credito, tanto che l’amministratore aveva inviato una diffida ad adempiere all’Ente debitore, in cui si esponeva l’ammontare del credito e si proponeva una soluzione transattiva.

Il credito in esame – concernente l’adeguamento tariffario di prestazioni già eseguite con costi sostenuti negli anni dal 2010 al 2015 – doveva, conseguentemente, essere riportato nelle comunicazioni sociali, in quanto esistente, cospicuo e capace di incidere sensibilmente sulla situazione patrimoniale della società. Secondo i giudici di legittimità esso doveva essere esposto, se non nel Conto economico, quantomeno nello Stato patrimoniale, eventualmente accompagnato da un chiarimento nella Nota integrativa, non potendosi in alcun modo tacere quella rilevantissima posizione creditoria, come invece è avvenuto.