Il giudice deve verificare se, in relazione al sistema prescelto, il datore ha correttamente individuato e fornito strumenti idonei a minimizzare i rischi
In caso di infortunio sul lavoro è sempre più frequente la contestazione anche della responsabilità della persona giuridica ai sensi del DLgs. 231/2001.
Così è accaduto nel caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 29908 depositata ieri.
A seguito del decesso di un lavoratore di un cantiere edile per una caduta dall’alto, il datore di lavoro era stato ritenuto responsabile di non aver predisposto nel cantiere le c.d. linee vita. Allo stesso tempo, era stata “imputata” la società a responsabilità limitata, subappaltatrice operante presso quel cantiere, in relazione al reato di omicidio colposo con violazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 589 c.p. così come richiamato dall’art. 25-septies del DLgs. 231/2001).
In particolare, si contestava la violazione dell’art. 111 comma 1 lett. a) del DLgs. 81/2008, per aver omesso di predisporre il previsto sistema di protezione individuale per consentire al lavoratore di ancorarsi durante il lavoro in quota installando, prima di sollevare e posare l’elemento prefabbricato in quota, le paline o puntoni, ossia elementi di fissaggio e fune di trattenuta ai quali assicurare l’imbragatura che gli operai in quota avrebbero dovuto indossare come previsto dall’art. 115 comma 3 del DLgs. 81/2008.
Al di là di alcune censure di ordine procedurale sollevate dalla difesa, la pronuncia appare interessante perché richiama principi relativi alla prevenzione degli infortuni con particolare riguardo alla lavorazione “in quota”.
I giudici di legittimità evidenziano, infatti, come l’intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indichi che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l’adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell’impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un’attrezzatura di lavoro più sicura.
Il citato art. 111 del DLgs. 81/2008 illustra infatti, secondo un preciso schema logico, quale sia la condotta che il legislatore ha ritenuto idonea a garantire la sicurezza dei lavoratori che devono eseguire tali tipologie di lavoro a rischio caduta.
La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (art. 111 comma 1 lett. a); ciò i quanto i dispositivi di protezione collettiva sono atti a operare indipendentemente dal fatto, e a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale.
La seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota (art. 111 comma 2); è, quindi, valorizzata la possibilità per il datore di lavoro di optare, in relazione allo stato di fatto, per un sistema piuttosto che per un altro.
Un’ulteriore disposizione prevede che il datore di lavoro possa disporre l’impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l’impiego di un’altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili (art. 111 comma 4).
L’obbligo di minimizzare i rischi insiti nelle attrezzature scelte è stato correlato dal legislatore al sistema prescelto dal datore di lavoro e l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute è stato correlato a tale scelta (art. 111 comma 5). È, dunque, nell’ambito del sistema prescelto dal datore di lavoro, in ossequio a tali disposizioni, che deve essere valutata la responsabilità colposa del datore di lavoro per l’omissione di ulteriori cautele atte a minimizzare il rischio di caduta.
Dalla disposizione contenuta nell’art. 111 comma 6 si desume, altresì, che solo l’esecuzione di lavori di natura particolare può giustificare l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute che, in ogni caso, dovrà essere immediatamente ripristinato una volta terminato il lavoro di natura particolare.
Seguendo il percorso indicato dal legislatore, compito del giudice di merito è, dunque, in primo luogo, stabilire quale sia la misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro, onde verificare se in tale scelta il datore si fosse attenuto ai criteri indicati dalla norma la cui violazione gli è contestata.
In secondo luogo, è compito del giudice di merito verificare se, in relazione al tipo di sistema di protezione prescelto e alle attrezzature adottate, il datore abbia correttamente individuato e fornito gli strumenti idonei a minimizzare i rischi per i lavoratori contro le cadute.