Per la Cassazione ciò determina importanti ricadute in termini di responsabilità

Di Maurizio MEOLI

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 15685, depositata ieri, ha stabilito che, nell’offerta al pubblico finalizzata all’aumento del capitale di una banca quotata, l’omessa indicazione nei prospetti di informazioni complete in merito alla determinazione del prezzo delle azioni, determinando l’impossibilità per gli investitori di maturare un adeguato giudizio, legittima l’applicazione, da parte della Consob, di sanzioni amministrative nei confronti dell’istituto di credito, dei suoi amministratori – seppure “non esecutivi” o “indipendenti” – e dei componenti del Collegio sindacale.

Quanto, innanzitutto, alla posizione degli amministratori privi di deleghe, la Suprema Corte ribadisce come, trattandosi del CdA di una banca, siano configurabili doveri particolarmente pregnanti anche in capo ai consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, a ostacolare il verificarsi di eventi dannosi (cfr. Cass. n. 24851/2019).
Le irregolarità contestate, in particolare, avrebbero dovuto indurre anche questi a esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo.

Il loro dovere di agire informati, sancito dagli artt. 2381 commi 3 e 6 e 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati. Anche gli amministratori non esecutivi, infatti, devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business e, essendo compartecipi delle decisioni che il CdA deve adottare, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi. Ciò non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, riconosciuti al CdA, di direttiva o di avocazione rispetto a operazioni rientranti nelle deleghe.

In ogni caso, non è possibile configurare una responsabilità oggettiva degli amministratori non esecutivi, essendo necessario l’accertamento dei seguenti elementi: la condotta d’inerzia; il fatto pregiudizievole antidoveroso; il nesso causale tra i medesimi; la colpa, consistente nel non aver rilevato (colposamente) i segnali dell’altrui illecita gestione nonostante fossero percepibili con la diligenza richiesta dalla carica ricoperta (a prescindere dalle informazioni doverose ex art. 2381 c.c.) e nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l’evento.

Analoghi rilievi – precisa inoltre la decisione in commento – valgono rispetto ai consiglieri “indipendenti”. Anche questi, infatti, sono “amministratori”, come tali dotati delle prerogative e dei doveri tipici dell’incarico gestorio, muniti di una competenza generale sul governo della società e incaricati di funzioni di management, di direzione e anche di controllo interno.
La loro “indipendenza”, quindi, non li rende estranei alle dinamiche gestionali. Anzi, gli amministratori indipendenti, cumulando le tipiche attribuzioni gestorie con le competenze di monitoraggio dell’attività degli esecutivi, assolvono a un ruolo attivo essenziale proprio rispetto alla verifica dell’operato degli altri amministratori per evitare che vengano commessi abusi all’interno della società e per assicurare che l’attività sociale si svolga nel rispetto dei principi di trasparenza e correttezza.