Il valore dei beni oggetto di distrazione deve essere considerato in termini assoluti

Di Maurizio MEOLI

La sentenza n. 16414/2024 della Cassazione prende in esame la fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione (ex artt. 216 comma 1 n. 1 e 223 comma 1 del RD 267/42, oggi, in relazione alla liquidazione giudiziale, artt. 322 comma 1 lett. a) e 329 comma 1 del DLgs. 14/2019) a fronte di contestazioni difensive attinenti alla realizzazione delle operazioni in un momento di normale operatività e regolare funzionamento dell’impresa e alla scarsa rilevanza quantitativa dei beni “in tesi” distratti.

Si ricorda che la fattispecie in questione è un reato di pericolo concreto e di mera condotta per la cui integrazione non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse a impieghi estranei alla sua attività; sicché, i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza.

È rimasta, infatti, isolata la soluzione proposta dalla pronuncia della Cassazione n. 47502/2012, secondo la quale lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento costituirebbe elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso, e pertanto dovrebbe porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e essere altresì sorretto dall’elemento soggettivo del dolo (ovvero voluto dall’agente).

Ove vi sia uno stretto rapporto cronologico tra l’atto dispositivo che diminuisce la garanzia dei creditori e la procedura concorsuale, la manifestazione dei presupposti storici di questa (nella forma della crisi di impresa o in quella dell’insolvenza o del dissesto) rende particolarmente agevole la ricostruzione della fattispecie, poiché risulta evidente la natura non solo pericolosa ma anche concretamente depauperativa dell’azione e la rimproverabilità soggettiva del suo autore che, rispetto alla determinazione del pericolo, non può invocare un’imputazione a titolo di responsabilità oggettiva.