Se l’illecito degli amministratori è evidente deve attivarsi immediatamente

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nell’ordinanza n. 10212, depositata ieri, ha affermato che il fatto che il sindaco di una banca sia in carica da poco tempo non ne esclude la responsabilità quando l’operatività illecita posta in essere dagli amministratori non poteva comunque passargli inosservata alla luce della diligenza richiesta dalla natura dell’attività bancaria.

Nel caso di specie, una banca aveva posto in essere una campagna pubblicitaria volta al collocamento di azioni proprie a condizioni uniformi e rivolta indistintamente a clienti soci e non soci; il tutto era stato architettato dai vertici e dalla rete commerciale per superare le criticità emerse in occasione di un’attività ispettiva della Banca d’Italia. La principale esigenza di tale operazione era quella di “svuotare” il Fondo Azioni Proprie per rispettare i vincoli normativi e procedere alla patrimonializzazione dell’istituto di credito.
Tale attività, però, si era concretizzata in una vera e propria iniziativa “promozionale” qualificabile come “offerta al pubblico di prodotti finanziari” di cui all’art. 1 comma 1 lett. t) del DLgs. 58/98, ma in assenza del prescritto prospetto informativo, con conseguente violazione dell’art. 94 comma 1 del DLgs. 58/98.

A fronte di ciò, la Consob aveva inflitto ai sindaci una rilevante sanzione amministrativa (100.000 euro); sanzione confermata dai giudici della Corte d’Appello.
Uno dei tre sindaci ricorreva per Cassazione rilevando, tra l’altro, come i giudici di merito avessero trascurato una pluralità di elementi che avrebbero dovuto indurli a escludere ogni profilo di colpa (la durata trimestrale dell’incarico; il subentro nel ruolo ricoperto da un sindaco dimissionario; l’intervento al termine di un programma di lavori già approvato e modulato; la complessità delle problematiche, di difficile rilevazione per il nuovo sindaco; l’esito tranquillizzante degli incontri con la società di revisione; il fatto che le precedenti operazioni su azioni proprie non erano state sanzionate; la necessaria fase di ambientamento prima di essere in grado di percepire le anomalie; l’impegno cui si era dedicato per dare riscontro alle richieste ispettive della Banca d’Italia). Inoltre, rilevava ancora il sindaco, i giudici di merito avrebbero dovuto individuare le condotte alternative da lui esigibili e gli effettivi indicatori di allarme percepibili nel periodo di svolgimento delle funzioni, non potendo trascurare che le violazioni in questione erano già in essere da molto tempo prima che subentrasse e che comunque era stato prosciolto in sede penale proprio per l’impossibilità di avvedersi delle gravi anomalie nel breve arco temporale di svolgimento delle funzioni.
La mancata considerazione di tali elementi, quindi, avrebbe condotto a imputargli l’illecito a titolo puramente oggettivo.

La Corte di Cassazione ritiene i motivi addotti dal sindaco inammissibili. In particolare, osservano i giudici di legittimità, insistendosi sul breve lasso di tempo in cui il sindaco aveva ricoperto la carica e sulle difficoltà di avvedersi delle disfunzioni organizzative e di cogliere eventuali segnali di allarme, non percepibili a causa della condotta reticente degli organi di gestione, non si faceva altro che richiedere una inammissibile rivalutazione del giudizio di merito sulla responsabilità.

Peraltro, rispetto a tali rilievi i giudici della Corte d’Appello avevano già “puntualmente replicato”, con giudizio di fatto ritenuto logicamente motivato, che l’operatività sulle azioni della banca non era affatto sconosciuta al CdA e al Collegio sindacale, posto che – come emergeva dai verbali delle riunioni consiliari, cui avevano partecipato anche i sindaci – all’organo amministrativo erano sempre stati analiticamente rappresentati i volumi di acquisto e di vendita delle azioni e delle emissioni di nuove azioni e lo stesso aveva sempre sistematicamente approvato il tutto all’unanimità, senza obiezioni o riserve o richieste di approfondimento.