Secondo il CNDCEC rileva il superamento della soglia delle quattro unità

Di Stefano SPINA

Si definiscono locazioni brevi, ai sensi dell’art. 4 del DL 24 aprile 2017 n. 50, i “contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare”.

Dal punto di vista reddituale si tratta di contratti di locazione, i cui canoni sono tassati sulla base delle regole dei redditi fondiari salvo opzione per la “cedolare secca”.
Tuttavia, a norma dell’art. 1 comma 595 della legge di bilancio 2021 (L. 178/2020), in caso di destinazione alla locazione breve di più di 4 “appartamenti” per ciascun periodo di imposta, tale attività “si presume svolta in forma imprenditoriale ai sensi dell’articolo 2082 del codice civile”. Tale presunzione, che, dal dato letterale della norma, risulta assoluta e quindi non permette la prova contraria, obbliga il locatore a porre in essere tutti quegli adempimenti propri di una attività commerciale quali l’inizio attività con apertura della partita IVA, l’emissione delle fatture ecc.

Lo svolgimento, in forma imprenditoriale, dell’attività di locazione può avere ripercussioni derivanti dal contemporaneo svolgimento di un’altra attività di impresa o di lavoro autonomo.
Infatti, se dal punto di vista IVA tale fattispecie è stata espressamente prevista dall’art. 36 del DPR 633/72 e, ai fini reddituali, ferma l’attrazione di tale attività in quella commerciale eventualmente già svolta, è prevista la possibilità di compilare distinti quadri di impresa e lavoro autonomo, vi possono essere altri aspetti non sempre attentamente considerati.

Un esempio è rappresentato dal caso del dottore commercialista e/o esperto contabile che, oltre a svolgere la propria attività professionale, superi, nel periodo di imposta, i quattro appartamenti destinati alla locazione breve. Infatti l’art. 4 comma 1 lett. c) del DLgs. 139 del 28 giugno 2005 dispone l’incompatibilità tra l’esercizio della professione e quello, anche non prevalente, né abituale dell’“attività di impresa, in nome proprio o altrui e, per proprio conto, di produzione di beni o servizi, intermediaria nella circolazione di beni o servizi, tra cui ogni tipologia di mediatore, di trasporto o spedizione, bancarie, assicurative o agricole, ovvero ausiliarie delle precedenti”.

Tuttavia lo stesso articolo, al comma 2, precisa che l’incompatibilità è esclusa qualora l’attività, svolta per conto proprio, sia diretta alla gestione patrimoniale oppure ad attività di mero godimento o conservative.
Partendo da questi presupposti è stato chiesto al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili come dovesse essere inquadrata, ai fini della sopracitata incompatibilità, la presunzione, al superamento della soglia dei quattro appartamenti, di svolgimento di attività imprenditoriale e, quindi, se si dovesse dare rilievo all’aspetto formale dell’attività commerciale (incompatibile con l’attività professionale) oppure a quello sostanziale di gestione patrimoniale dei propri immobili (attività invece compatibile con quella professionale).