La Suprema Corte ha annullato la condanna di tre società per indebita percezione di erogazioni pubbliche

Di Maria Francesca ARTUSI

Per affermare la responsabilità di una società ai sensi del DLgs. 231/2001 è necessario provare adeguatamente che i legali rappresentanti – autori del reato – abbiano agito nell’interesse dell’ente e che il reato presupposto abbia procurato vantaggio alla persona giuridica.
Per tale ragione la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 37655 depositata ieri, annulla con rinvio la sentenza di condanna emessa nei confronti di alcune società a cui era contestato il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche ai sensi dell’art. 24 del DLgs. 231/2001.

Nel caso in esame i legali rappresentanti di tre società avevano realizzato la fattispecie di cui all’art. 316-ter c.p. (appunto, richiamata dall’art. 24 citato), avendo conseguito contributi statali erogati dal Ministero dei Trasporti come incentivo all’organizzazione di corsi di formazione professionale in favore dei lavoratori nel settore degli autotrasporti .In particolare, tali enti rendicontavano al Ministero costi superiori a quelli effettivamente sostenuti, così lucrando un contributo di importo superiore a quello spettante, attraverso un meccanismo di restituzioni tra le società stesse successive alla rendicontazione e omettendo di darne comunicazione al Ministero.

Interessante notare che tale condotta viene qualificata come indebita percezione e non come il più grave reato di truffa aggravata ex art. 640-bis c.p., trattandosi qui di una omissione di comunicazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 7537/2011).

Quanto ai rapporti strutturali tra illecito ascritto alla persona giuridica e il reato-presupposto compiuto dalla persona fisica, la Cassazione ribadisce che all’accertamento del reato deve necessariamente seguire la verifica sul tipo di inserimento dell’autore nella compagine societaria e sulla sussistenza dell’interesse ovvero del vantaggio derivato all’ente. Solo in presenza di tali elementi la responsabilità si estende dall’individuo all’ente collettivo; solo, cioè, in presenza di criteri di collegamento teleologico dell’azione del primo all’interesse o al vantaggio dell’altro, che risponde autonomamente dell’illecito “amministrativo”.

L’illecito dell’ente non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone e l’illecito “amministrativo” ascrivibile all’ente non coincide con il reato, ma costituisce qualcosa di diverso, che addirittura lo ricomprende. L’ente, soggetto diverso dalla persona, è quindi responsabile di un fatto illecito proprio, costruito nella forma di fattispecie complessa, della quale il reato è un presupposto, unitamente alla qualifica soggettiva della persona fisica e alla sussistenza dell’interesse o del vantaggio.