L’indicazione di tale modello nella denominazione sociale appare opportuna per le numerose situazioni vantaggiose che potrebbe arrecare

Di Maurizio MEOLI

Il Consiglio nazionale del notariato ha dedicato il suo Studio n. 121-2022/I, pubblicato ieri, alla “società benefit”, o meglio, al “modello” benefit, introdotto dai commi 376 e ss. dell’art. 1 della L. 208/2015, tramite il quale, oltre al tradizionale scopo di lucro, si intende perseguire una o più finalità di beneficio comune, esercitandosi attività a sfondo sociale in grado di incrementare le ricadute positive sulle persone e sull’ambiente.
Il modello può essere utilizzato da tutti i tipi sociali idonei a tradurre in qualcosa di tangibile e produttivo il nesso di interdipendenza che esiste tra l’impresa ed il territorio.

L’indicazione di tale modello (“società benefit” o “SB”) nella denominazione sociale, pur sembrando rimessa a una scelta discrezionale, appare opportuna per le numerose situazioni vantaggiose che potrebbe arrecare.

È necessario, comunque, suddividere in due parti la struttura dell’oggetto sociale: la prima strettamente legata alla natura profit della società e la seconda che individua le esigenze sociali da tutelare. Ciò al fine di evitare rischi di responsabilità per quegli amministratori che si dovessero concentrare anche sullo scopo di impatto sociale. In particolare, non potranno essere censurati gli amministratori che, nel perseguire l’oggetto sociale, riducano il margine di guadagno a vantaggio degli scopi altruistici che la società si prefigge, mentre potrebbero esserlo coloro che, per far conseguire un lucro maggiore, trascurino gli aspetti solidaristici che dovrebbero caratterizzare le attività della società stessa.

A ogni modo, la responsabilità verso la società appare limitata a ipotesi peculiari (danno all’immagine della società o mancata ottemperanza alla finalità lucrativa prevista come condizione per l’accesso a finanziamenti bancari), mentre l’azione dei creditori sociali interviene quando il depauperamento del patrimonio sociale (anche in conseguenza del danno all’immagine della società) dovesse essere imputabile alla colpa del management incidendo sul loro diritto a ottenere l’adempimento dell’obbligazione.

È ritenuto, inoltre, dubbio che i destinatari del beneficio comune (gli stakeholder) possano utilizzare l’azione riconosciuta dall’art. 2395 c.c., potendo avvalersi – ove subiscano anche indirettamente un danno ingiusto alla propria sfera giuridico-patrimoniale in conseguenza di un fatto doloso o colposo degli amministratori – dell’azione generale di cui all’art. 2043 c.c., in tema di responsabilità extracontrattuale.