La dichiarazione infedele è compresa nelle omissioni delle scritture contabili
In tema di responsabilità personale dell’amministratore di società di capitali a seguito di cancellazione dal Registro delle imprese, la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi con la sentenza n. 9236, depositata ieri, nella peculiare ipotesi di occultamento di attività sociali.
La norma su cui si è incentrata l’analisi della Suprema Corte, a seguito della contestazione mossa dall’Amministrazione finanziaria, parte dall’art. 36 comma 4 del DPR 602/73, a mente del quale è responsabile l’amministratore rispondendo in proprio del pagamento delle imposte, anche per gli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione della società estinta se ha occultato attività sociali, pure mediante omissioni nelle scritture contabili.
Tale responsabilità si affianca a quella del liquidatore e per poter trovare fondamento impone che siano state poste in essere dall’amministratore attività volte a occultare il patrimonio sociale nel biennio precedente l’estinzione.
Il termine utilizzato dal legislatore – “occultato” – è volutamente generico e si presta a una varietà indefinita di operazioni che possono esservi ricomprese facendo scaturire la responsabilità dell’amministratore. A titolo esemplificativo, ha spiegato la Cassazione, possono rientrare operazioni sul piano contabile, o in diminuzione della garanzia patrimoniale della società, o in generale ogni attività di evasione d’imposta a danno dell’Erario come omissioni in contabilità, mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali, presentazione di dichiarazioni infedeli.
Nel caso deciso, emergeva che l’amministratore aveva posto in essere plurime e ingenti operazioni soggettivamente inesistenti cui conseguiva la presentazione di dichiarazioni infedeli.
Accertata detta condotta, la Suprema Corte ha espresso il principio di diritto per cui “In tema di società di capitali estinte per cancellazione dal registro delle imprese, l’art. 36, comma 4, d.P.R. n. 602/1973, nel testo ratione temporis vigente, estende la legittimazione passiva all’obbligazione tributaria e la responsabilità, non soggetta alle condizioni poste per le ipotesi di cui ai commi 1 e 3 del medesimo art. 36, anche agli amministratori che abbiano compiuto, nel corso degli ultimi due periodi di imposta antecedenti alla messa in liquidazione, operazioni di liquidazione ovvero abbiano «occultato» attività sociali, «anche» ma non esclusivamente attraverso omissioni in contabilità, ad esempio mancando di presentare le dichiarazioni fiscali o attraverso la redazione e presentazione di dichiarazioni infedele”.
In buona sostanza in capo all’amministratore della società cancellata dal Registro delle imprese permane un’autonoma obbligazione personale sul presupposto dell’esistenza della condotta posta in essere in violazione delle norme tributarie tesa a sottrarre materia imponibile.
In tal senso, il debito fiscale non costituisce dunque l’oggetto della responsabilità degli amministratori (e dei liquidatori), ma il parametro di commisurazione del danno cagionato, il quantum del risarcimento dovuto all’Erario (Cass. 31 marzo 2021 n. 8886).