Orientamenti contrastanti sulla prevalenza o meno delle misure ablatorie sui diritti di credito vantati per effetto della dichiarazione di fallimento

Di Maria Francesca ARTUSI

Il rapporto fra misure ablatorie penali (sequestri e confische) e sottoposizione a procedura fallimentare del soggetto destinatario della misura è oggetto di un articolato dibattito giurisprudenziale, tuttora non sopito. Tanto è vero che la Terza sezione penale della Cassazione ha ritenuto di dover rimettere la questione alle Sezioni Unite, con la sentenza n. 7633 depositata ieri.

A fronte di pronunce secondo le quali il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, prevista dall’art. 322-ter c.p., prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto della dichiarazione di fallimento, attesa la obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro e nelle quali la ratio di tale prevalenza dell’interesse statale sull’interesse dei creditori è rinvenuta nell’esigenza di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente “pericoloso”, in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato (Cass. n. 23907/2016 e Cass. n. 28077/2017), si rivengono ulteriori decisioni di segno radicalmente opposto. In queste ultime si afferma, viceversa, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca (inclusa quella conseguente ai reati tributari di cui all’art. 12-bis del DLgs. 74/2000) non può essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento (così Cass. n. 45574/2018, Cass. n. 14766/2020 e Cass. n. 47299/2021).

Sempre, nel senso della prevalenza della attrazione alla massa fallimentare si è pronunciata, ancor più di recente, la  Cassazione n. 26275/2022.
A queste si sono, però, ancora contrapposte ulteriori decisioni secondo le quali i termini della questione non sono risolvibili sulla base della regola della priorità temporale, attribuendosi prevalenza al provvedimento intervenuto prima dell’altro, in quanto, in caso di sovrapposizione fra i due fenomeni il criterio da adottare per risolvere il conflitto fra i medesimi non è quello di stabilire quale sia fra essi quello che si è manifestato per primo.

Va piuttosto chiarito a quale delle diverse esigenze che i due fenomeni tendono a salvaguardare vada assicurata la prevalenza: cioè, da un lato, la soddisfazione concorsuale del ceto creditorio dell’impresa insolvente; mentre nel caso della confisca la sottrazione alla disponibilità del condannato dei proventi del reato da lui commesso (così Cass. n. 15779/2020). A tale dilemma è stata cercata una soluzione nel ribadire che la misura ablatoria reale, in virtù del suo carattere obbligatorio, è destinata a prevalere su eventuali diritti di credito gravanti sul medesimo bene, non potendosi attribuire alla procedura concorsuale effetti preclusivi rispetto alla operatività della misura reale disposta nel rispetto dei requisiti di legge. E ciò a maggior ragione nell’ottica della finalità evidentemente sanzionatoria perseguita dalla confisca espressamente prevista in tema di reati tributari quale strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato (Cass. n. 15776/2020). Ma anche tale impostazione non è ad oggi definitiva.

La situazione di incertezza interpretativa è stata aggravata dalle decisioni che hanno preso in considerazione il nuovo Codice della crisi  (artt. 317 e seguenti del DLgs. 14/2019), non escludendo la sua differita entrata in vigore la possibilità che le norme definitorie in esso contenute potessero essere utilizzate nell’ambito di una interpretazione logico-sistematica delle norme vigenti, contenute in altre leggi (Cass. n. 3575/2022, poi confermata da Cass. n. 31921/2022 successiva all’effettiva entrata in vigore della nuova normativa).

Si noti che il tema in esame è strettamente collegato al dibattito sulla legittimazione del curatore fallimentare a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo, anche per equivalente, dei beni della società fallita; già risolto in senso positivo dalle Sezioni Unite n. 45936/2019.

In definitiva, il supremo collegio sarà chiamato a confrontarsi con il seguente quesito: se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l’avvenuto spossessamento per effetto della apertura della procedura concorsuale del debitore erariale (indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare) operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell’art. 12-bis comma 1 del DLgs. 74/2000, secondo il quale la confisca e, conseguentemente il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato.