Anche se si è in contabilità semplificata ci può essere la prova contraria

Di Rebecca AMATO

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10 depositata ieri, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità dell’art. 32 del DPR 600/73 nella parte in cui prevede che, per ogni possessore di reddito d’impresa, i prelevamenti non giustificati sono espressione, salvo prova contraria, di ricavi non dichiarati.

La Consulta è stata chiamata a pronunciarsi a seguito dell’ordinanza di remissione della C.T. Prov. di Arezzo del 26 aprile 2021 che ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questioni di legittimità costituzionale in ordine all’accertamento da indagini finanziarie di cui all’art. 32 comma 1 n. 2) del DPR 600/73.

Nella specie vige la presunzione legale per cui vengono ritenuti ricavi “occulti” i versamenti in conto corrente e i prelevamenti non giustificati oltre il limite di 1.000 euro giornalieri e 5.000 euro mensili (limiti introdotti dal DL 193/2016) ove questi non siano risultanti dalle scritture contabili e, per i prelevamenti, salvo che il contribuente non indichi il beneficiario.
I prelevamenti, infatti, vengono considerati costi “occulti” che producono ricavi “occulti”, sulla logica che i costi sostenuti generano a loro volta ricavi ai fini del reddito d’impresa.

Rammentiamo che, a seguito del DL 193/2016, i prelevamenti bancari non hanno più valore presuntivo per i possessori di reddito di lavoro autonomo (il legislatore ha recepito quanto sancito dalla Corte Cost. 6 ottobre 2014 n. 228).
I dubbi di costituzionalità avanzati dalla corte di merito, dunque, avevano come oggetto di attenzione l’operazione di prelevamento, sull’assunto che il prelievo a opera di imprenditori individuali in regime di contabilità semplificata, come avviene per i lavoratori autonomi, può essere ascrivibile a spese personali o a costi d’impresa. Per il giudice, “i prelievi del contribuente-imprenditore sono serviti per sostenere costi «occulti», dai quali sono stati prodotti ricavi «occulti», pari ai prelievi in questione, senza che sia possibile la deduzione dei costi sostenuti dall’imprenditore per produrre tali ricavi, secondo una prova contraria per presunzioni offerta da quest’ultimo”.

I giudici hanno respinto il rilievo di incostituzionalità sul presupposto che il contribuente imprenditore possa sempre opporre la prova contraria e in particolare possa eccepire la “incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati” (Corte Cost. n. 225 del 2005).

È stata anche evidenziata la disparità derivante dal fatto che nella fattispecie più grave di inattendibilità della contabilità, che dà luogo all’accertamento induttivo “puro”, è riconosciuta in automatico una deduzione forfetaria dei costi (tra le tante Cass. 16 settembre 2020 n. 19293 o in caso di dichiarazione omessa Cass. 20 gennaio 2017 n. 1506).

Diversamente, nel caso, tutto sommato meno grave, di accertamento analitico o analitico-induttivo (che, a differenza dell’induttivo “puro”, non presuppone condotte quali l’omessa dichiarazione o la mancata/irregolare tenuta della contabilità), il contribuente deve dimostrare analiticamente i costi sostenuti, senza che possa essere riconosciuta una deduzione forfettaria.

Sebbene, per quanto ci consta, quest’ultimo orientamento sia ribadito da diverse sentenze, i giudici della Consulta rilevano come non sia espressione di un vero e proprio “diritto vivente” e che, comunque, non è stato oggetto di una pronuncia a Sezioni Unite.

Del pari, non ha trovato accoglimento il rilievo di incostituzionalità inerente ai prelevamenti riguardo ai contribuenti in contabilità semplificata adducendo, da parte del giudice remittente, una sorta di “promiscuità” contabile, con conseguente difficoltà di distinguere tra spese personali e spese relative all’attività di impresa.

La Corte Costituzionale ha rigettato l’equiparazione tra lavoratori autonomi e imprenditori in ragione della natura dell’attività in concreto esercitata, dal momento che per i lavoratori autonomi prevale il lavoro proprio teso principalmente all’erogazione di servizi, diversamente dagli imprenditori commerciali che hanno tendenzialmente un apparato organizzativo che li sostiene al fine di realizzare la commercializzazione di beni.

Viene anche rammentato come il legislatore, con il DL 193/2016, abbia introdotto i richiamati limiti quantitativi alle presunzioni sui prelevamenti (1.000 euro giornalieri e 5.000 euro mensili) “proprio per risolvere il problema delle eventuali difficoltà probatorie derivanti da situazioni come quella dell’imprenditore assoggettato a contabilità semplificata”.
A livello generale, i giudici costituzionali hanno rilevato come al contribuente sia sempre riconosciuta la facoltà di prova contraria anche mediante presunzioni.