Disapplicata in modo espresso dalle norme agevolative la presunzione di distribuzione prioritaria delle riserve di utili

Di Gianluca ODETTO

La scelta delle riserve da utilizzare in sede di assegnazione agevolata presenta conseguenze molto diverse per il socio assegnatario.
Queste conseguenze non hanno tanto carattere quantitativo (l’eventuale reddito è, infatti, basato sul dato del valore normale o del valore catastale del bene assegnato, indipendentemente dall’entità delle riserve annullate), ma qualitativo: prendendo il caso delle assegnazioni operate dalle società di capitali, ove la riserva annullata sia una riserva di utili (es. riserva straordinaria) il socio realizza un dividendo in natura, mentre se la riserva annullata è una riserva di capitale (es. riserva sovrapprezzo, versamento in conto capitale, riserva formata a seguito della rinuncia dei soci ai crediti) si ha la sola riduzione del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione (conseguenze reddituali si verificano, in questo caso, solo se il costo scende “sottozero”).

Più precisamente, l’assegnazione con ripartizione delle riserve di utili determina un utile in natura per il socio pari al valore normale (o al valore catastale) del bene assegnato, al netto delle somme assoggettate all’imposta sostitutiva dell’8% (nella sostanza, l’utile va a posizionarsi sul valore storico del bene): l’utile è assoggettato alla ritenuta a titolo d’imposta del 26%, se il socio è (come nella maggior parte dei casi) una persona fisica non imprenditore.

Per contro, l’assegnazione con ripartizione delle riserve di capitale determina la riduzione del costo fiscale della partecipazione, anche in questo caso al netto delle somme assoggettate ad imposta sostitutiva in capo alla società.
Ricostruito brevemente questo quadro e ipotizzato che, ai fini dell’analisi che segue, la società assegnante non disponga di riserve in sospensione d’imposta, nella pratica il problema della capienza delle riserve si manifesta in molti contesti, costringendo la società ad attingere ad entrambe le relative categorie.

Ciò pone due questioni, a cascata, legate alla sussistenza o meno di un ordine di utilizzo, quanto meno ai fini fiscali, e alle conseguenze che si producono sulla fiscalità del socio.
Circa la prima problematica, la stessa è risolta alla radice dall’art. 1 comma 103 secondo periodo della L. 197/2022 che, analogamente a quanto previsto in modo espresso nelle precedenti versioni dell’agevolazione, dispone la disapplicazione delle norme, contenute nell’art. 47 comma 1 del TUIR, che impongono la distribuzione prioritaria delle riserve di utili.
Da ciò discende che la società può liberamente utilizzare per l’assegnazione, ad esempio, una riserva sovrapprezzo anche in presenza di riserve di utili (cosa che, invece, non è possibile nelle delibere ordinarie).

Venendo al secondo punto, nel caso in cui la società attribuisca al socio riserve di capitale unitamente a riserve di utili, secondo l’Agenzia delle Entrate (circolare n. 40/2002, § 1.4.6; circolare n. 26/2016, Parte I, § 1.6) occorre separare gli effetti in proporzione alla natura delle riserve annullate.

Adattando le esemplificazioni contenute nelle suddette circolari, se per ipotesi il bene ha un valore contabile di assegnazione di 100.000 euro e la società annulla riserve di capitale per 80.000 euro e riserve di utili per 20.000 euro, il socio deve proporzionare le due classi di riserve, per cui:
– incrementa il costo fiscale della partecipazione per un importo pari agli 8/10 della plusvalenza tassata in capo alla società e, contestualmente, lo riduce per un importo pari agli 8/10 del valore normale (o catastale) del bene assegnato;
– calcola l’utile in natura in misura pari ai 2/10 del valore normale (o catastale) del bene assegnato, al netto dei 2/10 della differenza assoggettata a imposta sostitutiva in capo alla società.

Ipotizzando, ad esempio, che l’immobile abbia un costo storico di 50.000 euro e un valore catastale di 60.000 euro, e che quest’ultimo sia il dato prescelto per calcolare il differenziale assoggettato a imposta sostitutiva (pari, quindi, a 10.000 euro), i calcoli sono i seguenti:
– il socio incrementa il costo fiscale della partecipazione per 8.000 euro (8/10 della plusvalenza) e lo riduce per 48.000 euro (8/10 del valore catastale del bene);
– l’utile in natura del socio è pari alla differenza tra 12.000 euro (2/10 del valore catastale) e 2.000 euro (i 2/10 delle riserve di utili annullati), e ammonta pertanto a 10.000 euro.

In sostanza, occorrerebbe trattare per compartimenti stagni sia le conseguenze reddituali (ovvero, il fatto che vi sia una parte di riduzione del costo della partecipazione e una parte di utili in natura), sia i benefici della legge speciale (il fatto che le somme assoggettate a imposta sostitutiva – 10.000 euro – si ripartiscono pro quota a mitigare l’onere fiscale dell’assegnazione).
Il procedimento dovrebbe essere seguito con scrupolo poiché, a quanto consta, vi sono più casi di verifica riferiti alle assegnazioni del 2017 in cui viene contestata l’errata applicazione di tali principi.