La GdF chiarisce alcuni profili della responsabilità penale tributaria nelle società alla luce della giurisprudenza di legittimità

Di Maurizio MEOLI

Tra i quesiti rivolti alla GdF durante la videoconferenza del 26 gennaio 2023, due attengono alle contestazioni di reati tributari commessi in contesti societari.
Il primo, in particolare, chiede se la GdF, nello svolgimento delle proprie verifiche, valuti o meno la presenza di amministratori con deleghe.

Si osserva, quindi, come, al fine di individuare compiutamente i responsabili degli illeciti da segnalare all’Autorità giudiziaria, i militari della GdF procedano ad un attento esame di tutti gli elementi acquisiti nel corso delle attività investigative. Si tiene, quindi, conto del fatto che – alla luce del principio costituzionale della “personalità” della responsabilità penale – il legislatore penale tributario abbia ascritto le condotte delittuose in capo a soggetti specifici, individuati sulla base delle funzioni svolte in aderenza al modello organizzativo societario adottato o dei poteri esercitati.
Di conseguenza, si procede alla verifica della presenza o meno di persone fisiche munite dei relativi poteri di rappresentanza, in base agli statuti o alla legge, tenute ad osservare gli adempimenti che costituiscono il presupposto delle condotte tipiche.
A fronte di ciò, viene data particolare enfasi alla sentenza n. 11087/2022 della Cassazione.

In tale decisione, infatti, i giudici di legittimità hanno precisato che, all’interno di un organo collegiale, quando la condotta o determinazione delittuosa è assunta da uno solo dei componenti, il coinvolgimento nella vicenda degli altri membri richiede che si dimostri che questi fossero in grado di conoscere le altrui scelte criminali, al fine di evitare di attribuire rilievo ad una responsabilità di natura colposa, incompatibile con la lettera delle fattispecie incriminatrici, che, configurando comportamenti modulati su consapevolezza dolosa, non consentono di addebitare all’autore di volontaria omissione, con argomentazione propria della colpa, l’evento che egli ha l’obbligo giuridico di impedire.

Tuttavia, all’interno dei reati commessi in ambito aziendale da parte del vertice dell’impresa ovvero dal CdA, il suddetto principio opera solo se all’interno di tale collegio vi sia stata attribuzione specifica di materie o compiti a taluni componenti dello stesso. Di contro, quando tale ripartizione di compiti manchi, e quindi il CdA operi senza un sistema di deleghe, tutti i componenti rispondono degli illeciti deliberati dal CdA, anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti, salvo il meccanismo di esonero contemplato dal terzo comma dell’art. 2392 c.c., che prevede l’esternazione e l’annotazione dell’opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colpa.
Naturalmente, conclude la risposta in esame, resta ferma l’applicabilità dei principi generali in tema di concorso di persone nel reato.

Il secondo quesito attiene, invece, all’individuazione della persona fisica cui ascrivere il reato dichiarativo nell’ipotesi in cui la relativa sottoscrizione sia stata delegata a un soggetto differente dal rappresentante legale.
Rispetto a tale questione si premette come la quasi totalità delle fattispecie penali tributarie (ex DLgs. 74/2000) sia costruita come reato “proprio”. Si tratta, cioè, di reati che possono essere integrati solo da soggetti obbligati a determinati adempimenti di carattere fiscale, tra cui anche la presentazione delle dichiarazioni che la persona fisica sottoscrive in virtù di particolari funzioni di amministrazione, liquidazione o rappresentanza ricoperte nell’ambito di società ovvero in qualità di sostituto d’imposta (ex art. 1 comma 1 lett. c) del DLgs. 74/2000).

Anche in relazione a tale aspetto, poi, la GdF attribuisce rilievo centrale alle indicazioni fornite in materia della giurisprudenza di legittimità.
La Suprema Corte, infatti, ha sempre sottolineato come l’obbligo dichiarativo presenti natura personale, risultando, di conseguenza, non delegabile a terzi. Di conseguenza, l’eventuale affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per i delitti dichiarativi (cfr. Cass. n. 4973/2022 e Cass. n. 9417/2020).

In ambito societario, peraltro, in presenza di un CdA, è possibile che l’espletamento degli adempimenti tributari propri dell’impresa sia affidato ad un soggetto diverso dal legale rappresentante.
Ove ciò avvenga, è a questo soggetto – materiale sottoscrittore della dichiarazione – che, in prima battuta, viene contestato l’eventuale reato dichiarativo.

Resta ferma, tuttavia, la possibilità che altri soggetti possano concorrere nel reato (cfr. Cass. n. 50201/2015). Si pensi, in primo luogo, proprio al rappresentante legale della società, laddove emerga che la condotta penalmente rilevante del materiale sottoscrittore della dichiarazione sia stata da questo istigata o rafforzata nelle sue intenzioni ovvero posta in essere in attuazione di un accordo con lo stesso (cfr. Cass. n. 18827/2019).