Occorre distinguere il profitto di cui si è avvantaggiato l’autore del reato presupposto da quello tratto dal riciclatore

Di Maria Francesca ARTUSI

Non vi è alcuna ragione per cui il “riciclatore” debba rispondere, con la confisca, di tutta la somma riciclata, laddove, in realtà, ad avvantaggiarsene sia stato un terzo, ad esempio l’autore del reato presupposto. In tal modo, infatti, si finirebbe per sanzionare un soggetto per un profitto di cui non ha mai goduto, contravvenendo alla regola generale sottostante alle confische (in specie quella per equivalente, avente chiara natura sanzionatoria) secondo la quale la suddetta sanzione non può colpire il patrimonio dell’autore del reato in misura superiore al vantaggio economico derivatogli dalla commissione di un determinato reato.
Si tratta di un orientamento seguito da gran parte della giurisprudenza di legittimità, che viene sposato dalla sentenza n. 2166, depositata ieri, della Corte di Cassazione.

Il caso in esame riguardava la confisca per equivalente ordinata, ai sensi dell’art. 648-quater c.p., per il valore corrispondente al profitto di diversi reati di riciclaggio, pari a oltre un milione di euro.
Diversa interpretazione era stata seguita dal giudice delle indagini preliminari che aveva determinato il complessivo valore dei delitti di riciclaggio considerando l’intero ammontare delle somme “ripulite” attraverso le operazioni illecite. In altre parole, il profitto corrispondeva esattamente al valore delle somme di denaro oggetto delle attività volte a ostacolarne l’individuazione della provenienza delittuosa, così come ritenuto da altra parte (minoritaria) della giurisprudenza (cfr. Cass. n. 37120/2019).

Come detto, la pronuncia qui in commento critica tale impostazione richiamando una serie di altre decisioni (cfr., tra le altre, Cass. n. 37590/2019 e Cass. n. 22020/2019).
Pur confermando la natura obbligatoria della confisca ex art. 648-quater c.p., viene obiettato che il “riciclatore” non ha goduto in alcun modo dell’intera somma, posto che tra costui e l’autore del reato presupposto non è ipotizzabile alcuna forma di concorso. Di conseguenza, investitore e riciclatore non possono essere avvinti dal principio solidaristico, che presuppone un concorso nel reato espressamente escluso in tutti i delitti derivati, per confiscare al riciclatore il profitto conseguito dall’autore del reato presupposto.

Minori dubbi nascono nel caso in cui il riciclatore si sia avvantaggiato solo del “prezzo del reato” e solo questo dunque potrà essergli confiscato. In caso, invece, di profitto occorrerà distinguere tra il profitto di cui si è avvantaggiato l’autore del reato presupposto da quello tratto dal riciclatore; giacché sarebbe contrario ai principi costituzionali di personalità della responsabilità penale che la confisca (per equivalente) avente ad oggetto l’intero profitto del reato di riciclaggio debba pesare sul solo riciclatore. Se infatti il principio della solidarietà è condivisibile per il vantaggio derivato dalla commissione di un reato in concorso (sul cui profitto ogni concorrente può vantare, in astratto, la disponibilità esclusiva), così non è nel caso in cui il concorso sia escluso e l’esclusione del concorso sia anzi la precondizione per rispondere del delitto “derivato”.

Viene, inoltre, ricordato che la natura sanzionatoria della confisca per equivalente comporta che la stessa non possa essere disposta per un valore superiore al profitto del reato, risolvendosi, in caso contrario, nell’applicazione di una pena illegale, il cui importo deve essere ridotto dal giudice anche d’ufficio.
In conclusione, viene annullata con rinvio la decisione sulla confisca essendo mancato un accertamento chiaro, con conseguente assenza di motivazione, in ordine alla reale e concreta entità del profitto di cui ha effettivamente goduto l’imputato, quale responsabile dei delitti di riciclaggio da lui commessi.