La nuova norma contenuta nel Ddl. di bilancio 2023 richiede maggiore coordinamento tra intermediario e contribuente

Di MARIO BONO e SALVATORE SANNA

Il Ddl. di bilancio 2023 prevede, per i titoli, le quote o i diritti negoziati nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione, posseduti alla data del 1° gennaio 2023, la possibilità di assumere, in luogo del costo o valore di acquisto, il valore normale determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nel mese di dicembre 2022 (art. 9 comma 4 lett. a) del TUIR).

Come evidenziato dalla relativa Relazione illustrativa presentata in Parlamento, questo nuovo regime consentirà di assumere, a fini fiscali, il valore normale delle azioni possedute al mese di dicembre 2022, in luogo del costo o valore di acquisto, a condizione che il predetto valore sia assoggettato a un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con aliquota del 14% (la medesima prevista per la rideterminazione del costo fiscale delle partecipazioni non quotate).

A differenza di quanto stabilito per la rivalutazione del costo delle partecipazioni non quotate, quindi, non deve essere redatta una perizia di stima in base alla quale dovrà essere liquidata l’imposta sostitutiva.
Nel silenzio della norma, per il contribuente dovrebbe essere sufficiente conservare un prospetto da cui si evincerà il calcolo del valore normale della partecipazione ex art. 9 del TUIR. Naturalmente, l’adesione alla rivalutazione dovrebbe poi essere comunicata all’intermediario finanziario con il quale si è optato per il regime del risparmio amministrato.

Inoltre, secondo la formulazione della norma contenuta nel Ddl. di bilancio 2023, il contribuente sembra che sia tenuto a effettuare la rivalutazione del costo per ciascuna partecipazione posseduta senza che gli venga consentito di rideterminare il costo delle partecipazioni presenti nel proprio dossier titoli per “masse” o per categorie omogenee.
In questo modo, in sede di rivalutazione non sarà possibile compensare le minusvalenze latenti su alcune partecipazioni con le plusvalenze latenti riferite ad altre partecipazioni, assolvendo l’imposta sostitutiva sulla loro somma algebrica.
In pratica, in presenza di due partecipazioni nelle società A e B entrambe acquistate a 100 e che facciano registrare un valore normale al 31 dicembre 2022, rispettivamente di 110 e 90, non sarà possibile rivalutare il costo della partecipazione in A al valore di 110 compensando la plusvalenza latente di 10 con la minusvalenza (sempre di 10) maturata sul titolo B.

Considerato, poi, che la norma in argomento dovrebbe essere inserita all’interno del comma 1-bis dell’art. 5 della L. 448/2001, anche per le partecipazioni quotate rivalutate secondo il loro valore normale dovrebbe restare fermo quanto previsto dal successivo comma 6. Pertanto, aderendo a questo regime, non è consentito il realizzo di minusvalenze deducibili ai fini della determinazione dei redditi diversi ex artt. 67 e 68 del TUIR.

Per le stesse ragioni, dovrebbero essere applicabili i medesimi termini di versamento dell’imposta sostitutiva che sono previsti per la rivalutazione delle partecipazioni non quotate. Quindi, entro il 30 giugno 2023 il contribuente interessato dovrebbe versare l’imposta sostitutiva del 14% per l’intero suo ammontare, ovvero (in caso di rateizzazione) limitatamente alla prima delle tre rate annuali di pari importo. Sulle rate successive alla prima saranno sempre dovuti gli interessi nella misura del 3% annuo.

Alla luce del fatto che si hanno sei mesi per aderire al regime, dovrà essere chiarito come deve comportarsi il contribuente che intenda beneficiare della rivalutazione e realizzare la partecipazione prima della scadenza del termine per il versamento dell’imposta sostitutiva.

In ultimo, ai fini dell’individuazione del costo fiscale del titolo in sede di successiva cessione, si ritiene che sarà possibile applicare i chiarimenti contenuti nella ris. Agenzia Entrate 26 novembre 2002 n. 372 in merito alla rideterminazione del costo fiscale delle partecipazioni non quotate.

In tale documento di prassi, è stato osservato che, in caso di partecipazione in regime di risparmio amministrato, il criterio LIFO è derogato a norma dell’art. 6 comma 4 del DLgs. 461/97, in base al quale l’intermediario adotta, quale costo o valore di acquisto, il costo medio ponderato relativo a ciascuna categoria omogenea nel caso in cui i titoli della stessa specie e aventi uguali caratteristiche siano stati acquistati dal contribuente in date successive e a prezzi diversi.

Tuttavia, per i soggetti che aderiscono alla rivalutazione ex art. 5 della L. 448/2001, è stato chiarito che gli intermediari “devono tenere distinta evidenza della quota della partecipazione per la quale è stata effettuata la rideterminazione del valore di acquisto in quanto la predetta operazione di rideterminazione comporta l’attribuzione di una nuova caratteristica alle partecipazioni, titoli e diritti e cioè l’indeducibilità delle minusvalenze realizzate. In tal modo, i successivi acquisti di partecipazioni appartenenti alla medesima categoria omogenea rilevano soltanto ai fini della determinazione del costo della quota della partecipazione il cui valore non è stato rideterminato”.