Possibile richiedere la ripartizione del credito ricevuto in quote costanti annuali, di pari importo, fino a 10 anni

Di ENRICO ZANETTI e ARIANNA ZENI

Per cercare di riaprire il mercato degli acquisti dei crediti di imposta derivanti dai bonus edilizi, il Governo introduce nell’emanando decreto “Aiuti-quater” una norma con la quale consente ai cessionari di optare, relativamente ai soli crediti da superbonus di cui all’art. 119 del DL 34/2020, per un orizzonte temporale di utilizzo in compensazione dei crediti di imposta acquistati su 10 anni, anziché su 4.
La misura mira a creare spazi nelle capacità di acquisto di crediti di imposta da parte delle banche e degli altri intermediari finanziari che, avendo già raggiunto o quasi raggiunto il target massimo di acquisti, calcolato in funzione delle stime sui loro flussi annuali di imposte, ritenute e contributi, con i quali le rate annuali di crediti di imposta possono essere usate in compensazione, hanno smesso di acquistarli.

Proprio per garantire che l’opzione per l’allineamento da 4 a 10 anni delle rate di utilizzo del superbonus venga usata dalle banche per assorbire i crediti di imposta già presenti nei cassetti fiscali di imprese e privati, che faticano a trovare sbocco, piuttosto che per operazioni ancora da venire, la norma prevede che gli acquirenti dei crediti superbonus possano esercitare l’opzione “10 anni” solo per gli sconti in fattura e le cessioni a terzi perfezionatisi “entro il 10 novembre”.

La mossa del Governo può senz’altro smuovere le acque, ma è difficile immaginare che possa essere priva di contraccolpi negativi per chi cede, nel senso che, se la banca acquista un credito che utilizzerà però in 10 anni invece che 4, applicherà verosimilmente anche un tasso di sconto finanziario calcolato su questo orizzonte temporale e quindi comprerà il credito superbonus non pagando l’87,28% di 110 (cioè 96), ma il 70% di 110 (cioè 77).
Vendere a 77 quel che si pensava di poter vendere a 96 o più è sempre meglio che non vendere affatto, ma è chiaro che si tratta di way out tutt’altro che indolore per chi cede.

Più interessante di un passaggio opzionale da un sistema rigido a 4 anni a un sistema rigido a 10 anni, sarebbe probabilmente il passaggio a un sistema flessibile in cui i crediti di imposta derivanti da superbonus rimangono a 4 anni, ma le cui rate annuali divengono riportabili sugli anni successivi nel caso incapienza delle imposte, ritenute e contributi con cui sono utilizzabili in compensazione.
Questa soluzione operativa non modificherebbe il pricing applicato dalle banche e le spingerebbe comunque ad alzare di un 10-15% i propri plafond di acquisto, rispetto a quelli prudenzialmente fissati a normativa vigente, nella consapevolezza di non rischiare di perdere eventuali eccedenze in un dato anno.
Il 10-15% equivarrebbe a circa 8-12 miliardi di euro, ossia tutto quello che serve per risolvere il problema dei crediti già presenti nei cassetti fiscali delle imprese che hanno applicato sconti in fattura e non trovano acquirenti per i corrispondenti crediti.

Proprio per “mirare” al meglio la misura, evitando dispersioni e utilizzi non coerenti a questa finalità di “soluzione” di situazioni pregresse, si potrebbe prevedere che la “flessibilità”, rappresentata dalla facoltà di riporto delle eventuali eccedenze, possa valere solo per i crediti acquistati dalle banche in data successiva all’entrata in vigore della disposizione e però derivanti da opzioni comunicate all’Agenzia delle Entrate in data precedente.

Comunque sia, è facile prevedere che, nel percorso che porterà all’approvazione della legge di bilancio per l’anno 2023, nel cui articolato troverà probabile “trasfusione” il decreto “Aiuti-quater”, non mancherà il dibattito su come calibrare al meglio le norme finalizzate a sbloccare il mercato delle cessioni dei crediti di imposta.