Ai fini probatori non utilizzabili le Certificazioni Uniche rilasciate dalle società «clienti»

Di LUCA FORNERO

Con l’ordinanza n. 32272 pubblicata ieri, la Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema dell’assoggettamento, o meno, a IRAP dei compensi per l’attività di componenti di collegi sindacali svolta dai professionisti associati e corrisposti allo studio professionale.

Innanzitutto, i giudici di legittimità affermano che, per ottenere l’esclusione da IRAP dei predetti compensi, occorre dimostrare che l’attività individualmente svolta dagli associati è “funzionalmente scollegata” da quella dello studio professionale. Nel caso di specie, in assenza di tale prova, il rimborso d’imposta è stato negato.

Il principio affermato dalla pronuncia in esame ribadisce quello espresso dall’ordinanza n. 13129/2019, che aveva concesso il rimborso sostenendo che le associazioni tra professionisti e gli studi associati non scontano l’IRAP per le attività di amministratore, sindaco e revisore di società eventualmente svolte dai singoli associati.

Perché ciò accada, è tuttavia necessario che essi svolgano la propria attività in modo individuale e separato rispetto a ulteriori attività espletate all’interno dello studio associato. Dal canto suo, in caso di richiesta di rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, lo studio stesso deve dimostrare, nel contempo:
– l’assenza delle condizioni di legge che determinano l’imposizione;
– la possibilità di scorporare le diverse categorie di compensi, rispetto a un’attività individuale rilevante quale organo di una compagine terza.

In senso opposto si era invece espressa l’ordinanza n. 30873/2019, ove peraltro il diritto al rimborso era stato negato perché i giudici di secondo grado non avevano considerato che la richiesta di rimborso proveniva dallo studio e non dai professionisti.

Quale elemento di novità rispetto ai precedenti sopra richiamati, l’ordinanza n. 32272/2022 esclude che la scindibilità dei compensi possa essere dimostrata producendo le Certificazioni Uniche relative alle ritenute d’acconto operate dalle società nell’interesse delle quali i singoli professionisti associati avevano personalmente svolto la carica di sindaco.

Infatti, ad avviso della Suprema Corte, la circostanza che tali società abbiano rilasciato le richiamate certificazioni (nel caso oggetto di giudizio, non trascritte nel ricorso) non esclude che essi, nell’espletamento del loro incarico, si siano avvalsi in concreto dell’organizzazione messagli a disposizione dallo studio associato.

Anzi, la percezione e la conseguente fatturazione, da parte dello studio associato, dei compensi per l’espletata attività di sindaco degli associati inducono a ribadire il principio per cui non ha diritto al rimborso dell’IRAP il professionista (nel caso di specie, dottore commercialista) che, in presenza di autonoma organizzazione ed espletando congiuntamente anche gli incarichi connessi di sindaco, amministratore di società e consulente tecnico, svolge sostanzialmente un’attività unitaria, nella quale siano coinvolte conoscenze tecniche direttamente collegate all’esercizio della professione nel suo complesso.

Tutto ciò, allorché non sia possibile:
– scorporare le diverse categorie di compensi eventualmente conseguiti;
– verificare l’esistenza dei requisiti impositivi per ciascuno dei settori di attività.

Da ultimo, si rammenta che, dal 2022, ai sensi dell’art. 1 comma 8 della L. 234/2021, indipendentemente dall’organizzazione della quale si avvalgono, l’IRAP non è più dovuta dalle persone fisiche esercenti attività commerciali (ex art. 3 comma 1 lett. b) del DLgs. 446/97) o arti e professioni (ex art. 3 comma 1 lett. c) del DLgs. 446/97).

Il mutato quadro normativo rispetto ai fatti in causa suggerisce, ove possibile, di far fatturare direttamente agli associati gli incarichi di sindaco e amministratore di società, onde ottenere ex lege l’esclusione dal tributo di tali proventi.