Le società in nome collettivo sono tenute a presentare le dichiarazioni, ma il risultato di esercizio deve essere imputato direttamente ai singoli soci

Di MARIA FRANCESCA ARTUSI

Sono passati quasi due anni da quando la causa di non punibilità derivante dal pagamento dei debiti tributari è stata ampliata anche ai delitti di dichiarazione fraudolenta previsti dagli artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000. Con il DL 124/2019 – convertito con modifiche dalla L. 157/2019 ed entrato in vigore il 25 dicembre di quello stesso anno – tali fattispecie sono state inserite nel secondo comma del citato art. 13.

Da ciò deriva che – come per le dichiarazioni omesse o infedeli – non sono punibili le condotte fraudolente se i debiti tributari, compresi sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo; sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Tale inserimento ha ovviamente posto il tema dell’applicazione temporale dell’istituto premiale rispetto ai procedimenti già in essere al momento dell’entrata in vigore della novella normativa (evidentemente in favor rei).
La giurisprudenza si era già espressa nel senso di ritenere che la causa di non punibilità, allorché introdotta all’art. 11 del DLgs. 158/2015, fosse applicabile ai procedimenti in corso, anche qualora, alla data predetta, fosse già stato aperto il dibattimento (cfr. Cass. n. 40314/2016, Cass. n. 15237/2017 e Cass. n. 30139/2017).

La sentenza n. 35381 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 22 settembre, ritiene che la stessa conclusione vada adottata, per identità di ratio, anche in relazione alla causa di non punibilità riferibile ai reati di dichiarazione fraudolenta.
Ciò che non appare chiaro nelle motivazioni di tale pronuncia è come interpretare il requisito per cui la non punibilità potrà operare unicamente se “il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali”. Si pensi, in particolare, alle ipotesi in cui il procedimento sia iniziato e il pagamento integrale del debito tributario sia avvenuto successivamente.

Nel caso affrontato dalla sentenza in esame, una società a responsabilità limitata era stata sottoposta a verifica fiscale, in ragione della segnalazione di fatturazioni per operazioni inesistenti risalenti al 2012, allorché la società operava nelle forme della società in nome collettivo, pur avendo il medesimo legale rappresentante. Tale soggetto, anteriormente alla definizione del procedimento amministrativo, aveva avuto formale conoscenza dell’attività di accertamento tributario a carico della società proprio per l’ipotesi di fraudolenza nelle dichiarazioni.

In proposito, le motivazioni della Cassazione si soffermano anche sull’applicabilità della dichiarazione fraudolenta alle società di persone, nonché sull’elemento soggettivo doloso di tale reato con riferimento al ruolo del legale rappresentante.
L’elemento centrale resta comunque il tema dell’applicabilità retroattiva della causa di non punibilità per cui sarebbe utile un approfondimento caso per caso. Qui comunque viene negata la non punibilità, non per ragioni di successione temporale delle norme, ma in quanto l’imputata era a piena e legale conoscenza – in ragione della propria veste di amministratrice – degli accertamenti tributari dai quali sono emerse le condotte illecite. Solo nella pendenza di detti conosciuti accertamenti, cui costei prendeva parte ex lege, la stessa ha inteso definire la propria posizione.

Un’ultima annotazione viene fatta riguardo al cumulo delle sanzioni penali e amministrative, che qui riguarda la posizione del legale rappresentante a cui è contestato il reato ex art. 2 del DLgs. 74/2000 e allo stesso tempo è destinatario diretto delle sanzioni tributarie con riferimento alla società in nome collettivo. In proposito, la Cassazione ricorda che le società in nome collettivo sono tenute a presentare le dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi, ma il risultato di esercizio deve essere imputato direttamente ai singoli soci, ovviamente ciascuno per la sua quota di partecipazione.

Viene, in definitiva, ribadito che non trova applicazione, nel caso di specie, il principio del “ne bis in idem” in virtù della sussistenza di una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, tale che le due sanzioni siano parte di un unico sistema secondo il criterio dettato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella decisione “A. e B. contro Norvegia” del 15 novembre 2016.