Secondo l’Agenzia delle Entrate la restituzione dei canoni di locazione è un «rimborso» di spese inerenti

Di LUCA FORNERO

Con la risposta n. 482 di ieri, l’Agenzia delle Entrate ha illustrato la disciplina applicabile, ai fini IRPEF, alle somme percepite da un professionista a titolo di parziale rimborso, in esito a un accordo di mediazione, dei canoni da questi pagati a fronte della locazione dello studio professionale.

Nel caso oggetto di interpello, il professionista comunicava alla locatrice la disdetta del contratto, a seguito della quale, ritenendo di aver pagato canoni in eccesso, richiedeva la restituzione di quanto indebitamente corrisposto nel periodo di vigenza del contratto.
A fronte del rifiuto della parte locatrice e alla conseguente mediazione, il professionista otteneva un parziale rimborso.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, le somme percepite dal professionista in esito alla procedura di mediazione concorrono, quale componente positivo, alla determinazione del reddito di lavoro autonomo (ex art. 54 del TUIR) nell’anno di percezione, in quanto “rimborso” di spese inerenti l’esercizio dell’attività. Nel caso di specie, infatti, i canoni di locazione sono stati interamente dedotti, trattandosi di immobile adibito in via esclusiva all’attività del professionista.

A fondamento del proprio pensiero, l’Agenzia richiama due precedenti risoluzioni, la n. 356/2007 e la n. 106/2010.
Nel primo documento, una società era stata citata in giudizio e condannata al pagamento di una somma:
– in parte per il risarcimento del danno derivante dalla “lesione all’immagine” di un professionista;
– in parte per il danno subito in relazione alle spese da lui sostenute.

Per quanto concerne il secondo punto, che qui interessa, secondo l’Agenzia la quota dell’indennità diretta a indennizzare il professionista per le spese dallo stesso sostenute, trattandosi di una somma finalizzata a “rimborsare” un costo inerente all’esercizio dell’attività professionale, assume valenza reddituale e, in quanto tale, deve essere assoggettata a ritenuta.
Tale impostazione appare opinabile, posto che la fattispecie oggetto della ris. n. 356/2007 sembra configurare, dal punto di vista civilistico, la tipica ipotesi di risarcimento del danno emergente, in quanto rimborsa le spese sostenute dal danneggiato.

Dal punto di vista fiscale si tratterebbe quindi di importo non tassato, ai sensi dell’art. 6 comma 2 del TUIR, secondo cui i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.

Pertanto, le somme a titolo risarcitorio sono tassabili solo se e nella misura in cui sono dirette a reintegrare un danno correlato alla mancata percezione di redditi.

Come evidenziato dalla stessa Agenzia delle Entrate nella ris. n. 106/2009:
– sono imponibili le somme corrisposte per sostituire mancati guadagni, cosiddetto lucro cessante;
– non assumono rilevanza reddituale le indennità risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto ovvero al fine di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio, cosiddetto danno emergente.

Tuttavia, nella successiva ris. n. 106/2010 (nella quale è stato trasfuso il contenuto della precedente nota n. 954-131148/2010), l’Agenzia ha nuovamente precisato che le somme liquidate, a seguito di una sentenza, a un professionista che ha agito per inadempimento contrattuale, sono soggette alla ritenuta di cui all’art. 25 del DPR 600/73 in quanto proventi sostitutivi di reddito di lavoro autonomo (ex art. 6 comma 2 del TUIR).

Ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, il rimborso delle spese processuali sostenute dal professionista ha natura reddituale. Infatti, posto che tali costi sono deducibili poiché inerenti l’attività professionale, per ragioni di simmetria impositiva i relativi rimborsi sono soggetti alla ritenuta di cui all’art. 25 del DPR 600/73.

La questione analizzata dall’Agenzia delle Entrate ha origini remote e nasce dalla legge delega del 1971 che ha incluso nel reddito imponibile le sopravvenienze attive solo con riguardo al reddito d’impresa.

Secondo l’impostazione tradizionale, a contrariis, nell’ambito del reddito di lavoro autonomo tali componenti reddituali non dovrebbero essere tassati.
D’altra parte nel reddito di lavoro autonomo non esiste una norma che, al pari dell’art. 88 del TUIR in materia di reddito d’impresa, disciplini le sopravvenienze e la nozione di compensi deve essere riferita al corrispettivo relativo all’opera prestata dal professionista.

La soluzione adottata dall’Agenzia risponde a comprensibili finalità di armonia sistematica, nel senso che, a fronte della deduzione delle spese, si ritiene che la restituzione delle stesse debba essere tassata.
Il punto è che tale ricostruzione non sembra adeguatamente supportata dal dato normativo; pertanto, in assenza di interventi del legislatore, appare criticabile.

Certamente, aderendo a tale impostazione, si dovrebbe concludere che le sopravvenienze passive dovrebbero essere deducibili, anche se nel reddito di lavoro autonomo, improntato al principio di cassa, tale evenienza appare poco plausibile.