Spetta ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati

Di MARIA FRANCESCA ARTUSI

Ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore “di fatto” di una società, può essere valorizzato l’esercizio, in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi.
In tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati.

Tale principio viene enunciato dalla sentenza n. 36556 depositata ieri dalla Cassazione. Ad un soggetto, qualificato come amministratore di fatto di due srl, erano stati contestati i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 del DLgs. 74/2000), occultamento delle scritture contabili (art. 10 DLgs. n. 74/2000), dichiarazione fraudolenta (art. 2 del DLgs. 74/2000), dichiarazione infedele (art. 4 del DLgs. 74/2000) e autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.).
L’art. 2639 c.c. stabilisce che, per i reati societari previsti dal codice civile, “al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.

Secondo la giurisprudenza, tale nozione postula – come si è detto sopra – l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Cass. n. 35346/2013).

Anche con riguardo ai reati fallimentari, la giurisprudenza di legittimità è tradizionalmente orientata nel senso di ritenere che la posizione dell’amministratore di fatto va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale (tra le tante, Cass. n. 45134/2019 e Cass. n. 7437/2021).

I destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 del RD 267/42, vanno, quindi, individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali, ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta.

Gli stessi principi sono stati applicati alla categoria dei reati tributari, nella quale rientrano quattro (artt. 2, 4, 8 e 10 del DLgs. 74/2000) dei cinque reati contestati nel procedimento che oggi si commenta (Cass. n. 22108/2015).

Va ancora dato atto di un ulteriore punto toccato dalla sentenza in esame: non integra il delitto di riciclaggio la condotta di sostituzione di somme sottratte agli obblighi di pagamento fiscali mediante delitti in materia di dichiarazione, se il termine di presentazione della dichiarazione annuale non sia ancora decorso e la stessa non sia stata ancora presentata, atteso che il delitto di riciclaggio non può consumarsi prima del delitto presupposto (Cass. n. 30889/2020.)

Al fine di evitare la doppia punibilità della medesima condotta, il legislatore, con la introduzione della fattispecie di cui all’art. 648-ter.1 c.p., ha richiesto che a seguito della consumazione del delitto presupposto vengano poste in essere ulteriori condotte aventi natura decettiva, peraltro solo costituite da impiego in attività economiche o finanziarie. In altre parole, per configurare sia l’autoriciclaggio sia il reato che ne costituisce presupposto, occorrono la previa consumazione del reato presupposto e un “quid pluris” intervenuto dopo la commissione di tale reato.

Nel caso in esame viene contestata la destinazione attribuita alle somme non versate all’Erario, accreditate sui conti della società a titolo di pagamento di transazioni fittizie, e successivamente veicolate in favore delle missing trader comunitarie, per l’ulteriore acquisto di prodotti petroliferi dai reali fornitori.

Si configurano pertanto condotte distinte. Le prime valorizzate per ritenere la previa consumazione dei reati presupposto ipotizzati; le seconde integranti quel “quid pluris” intervenuto dopo la commissione del reato presupposto, e connotate dalla necessaria idoneità dissimulatoria, ad integrazione dell’autoriciclaggio.