Non basta, per fondare la responsabilità, la sola contiguità cronologica tra la presentazione della dichiarazione IVA e la nomina di nuovo amministratore

Di Maria Francesca ARTUSI

Da sempre si pongono problematiche laddove vi sia una successione nell’amministrazione della società o dell’ente nel periodo che va dalla presentazione della dichiarazione IVA alla scadenza del termine normativamente fissato per il versamento dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione stessa.

La giurisprudenza ritiene che non risponde del reato di omesso versamento di IVA chi, pur avendo presentato la dichiarazione annuale, non è poi tenuto, anche per fatti sopravvenuti, al pagamento dell’imposta nel termine previsto dall’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, salvo che il Pubblico Ministero non dimostri che il soggetto abbia inequivocabilmente preordinato la condotta rispetto all’omissione del versamento (ciò avviene, ad esempio, dismettendo artatamente la carica di amministratore della persona giuridica soggetto IVA), ovvero abbia fornito un contributo causale, materiale o morale, da valutarsi a norma dell’art. 110 c.p., all’omissione della persona obbligata, al momento della scadenza, al versamento dell’imposta dichiarata (Cass. n. 53158/2014 e Cass. n. 12248/2014).

Tali principi vengono ora ribaditi dalla pronuncia n. 32491, depositata ieri dalla Corte di Cassazione. Tale ultima sentenza annulla, infatti, con rinvio la condanna del legale rappresentante di una srl, cessato dalla carica di amministratore il 15 dicembre 2014 mentre la data di ultima scadenza per il pagamento dell’IVA – ai fini di esclusione della responsabilità penale – era il 29 dicembre 2014.

Può essere utile ricordare che la condotta della fattispecie in questione è costituita dal mancato versamento entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, per un importo superiore a 250.000 euro. Parte della giurisprudenza specifica la “struttura mista” di tale fattispecie, consistente in una condotta commissiva – rappresentata dalla presentazione da parte del soggetto obbligato della dichiarazione annuale IVA – e in una condotta omissiva, cioè il mancato versamento nei termini di legge dell’imposta dovuta sulla base di tale dichiarazione (Cass. n. 26930/2017).

La sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’Appello – nel procedimento oggi in commento – aveva fondato l’affermazione di responsabilità sul rilievo che l’imputato, cessato dalla carica di amministratore, come si è detto, pochi giorni prima della scadenza del termine, avesse contribuito all’omesso versamento dell’IVA effettuando la dichiarazione IVA. Tuttavia, la sentenza risulta del tutto carente in merito al reale contributo fornito dall’imputato al compimento del reato, non risultando alcun approfondimento in ordine alla prosecuzione di fatto della gestione pur dopo la presentazione delle dimissioni. Per i giudici di legittimità – e per lo stesso Procuratore generale presso la Corte di Cassazione – non è possibile qualificare come contributo concorsuale ai sensi dell’art. 110 c.p. l’adempimento di un obbligo fiscale quale la presentazione della dichiarazione IVA (che in effetti era stata correttamente presentata dall’amministratore che poi aveva dato le dimissioni).

Interessante è la sottolineatura della Corte di Cassazione per cui non è sufficiente, per fondare la responsabilità, la sola contiguità cronologica tra la presentazione della dichiarazione fiscale e la nomina di nuovo amministratore, né la necessità di impedire la creazione di un’eventuale sacca di impunità in favore di soggetti chiaramente ed inequivocabilmente coinvolti – quantomeno a titolo di accettazione del rischio – nella gestione societaria nel periodo immediatamente precedente alla commissione dell’illecito.

Va, comunque, accertato il nesso causale tra la condotta dell’amministratore e l’omissione conseguente del pagamento dell’IVA.