Il divieto di rappresentanza processuale da parte del legale rappresentante indagato nel reato presupposto è assoluto e non ammette deroghe

Di Maria Francesca ARTUSI

Nel corso di uno dei primi procedimenti “231” in materia di contrabbando doganale, con la sentenza n. 28963 depositata ieri la Corte di Cassazione si è soffermata sul divieto di rappresentanza in processo degli amministratori indagati.

L’art. 39 del DLgs. 231/2001 stabilisce, infatti, che la persona giuridica partecipa con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo.
Tale divieto si giustifica perché il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva e insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o nell’interesse di terzi ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati, in questo modo escludendo la propria responsabilità e facendola così ricadere sul solo rappresentante.

La giurisprudenza aveva già precisato che questa incompatibilità non determina né la compressione del diritto di difesa dell’ente (art. 24 Cost.), né costituisce violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) ovvero del giusto processo (art. 111 Cost.). E infatti, a fronte del divieto normativo, la persona giuridica ha tre possibilità: nominare un nuovo rappresentante legale; nominare un rappresentante legale con poteri limitati alla sola partecipazione al procedimento (procuratore “ad litem”); rimanere inerte (Cass. n. 41398/2009).

La pronuncia in esame precisa ulteriormente che il divieto posto dal citato art. 39 è assoluto e non ammette deroghe, in quanto è funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo imputato in un procedimento penale. D’altra parte, tale diritto risulterebbe del tutto compromesso se fosse ammessa la possibilità che l’ente partecipasse al procedimento rappresentato da un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale.

Per questa ragione l’esistenza del conflitto è presunta (iuris et de iure) proprio dall’art. 39 e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto. Il divieto assoluto di rappresentanza scatta, così, automaticamente quando il rappresentante legale risulta essere imputato (o indagato) del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto, senza che sia richiesta una verifica circa un’effettiva situazione di incompatibilità.

Sotto altro profilo, il divieto di rappresentanza non può che valere anche nell’ipotesi in cui il rappresentante dell’ente sia soltanto indagato, in quanto la ratio della disposizione va individuata nella necessità di evitare situazioni di conflitto di interesse con l’ente, verificabili soprattutto nelle prime e delicate fasi delle indagini, di fondamentale importanza per le acquisizioni richieste per gli atti propulsivi del procedimento.

Così inteso, il divieto in esame produce necessariamente conseguenze sul piano processuale, in quanto tutte le attività svolte dal rappresentante all’interno del procedimento penale che riguarda l’ente devono essere considerate inefficaci (su questo tema si veda anche Cass. SS.UU. n. 33041/2015).

Da tutto ciò consegue che, nel caso di specie, i due indagati per reati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente da ciascuno rispettivamente rappresentato, oltre a non potersi costituire secondo le modalità formali previste dall’art. 39 commi 2 e 3 del DLgs. 231/2001, non avrebbero potuto porre in essere alcun altro atto funzionale a manifestare la volontà della società nel processo. Tanto meno costoro potevano provvedere (come, invece, hanno fatto) alla nomina di altro amministratore, atto al quale la società avrebbe dovuto provvedere, non già attraverso il proprio rappresentante legale in posizione di incompatibilità per conflitto di interessi con l’ente medesimo, ma individuando, secondo la disciplina civilistica, altra persona fisica legittimata a rappresentare l’ente.

Da notare che le società in questione erano indagate, ai sensi del recentissimo art. 25-sexiesdecies del DLgs. 231/2001, per avere sottratto merci al pagamento dei diritti di confine, effettuando importazioni di biciclette elettriche dalla Cina, eludendo il pagamento dei dazi antidumping e dell’IVA di importazione.