Risulta inapplicabile la disciplina IVA per le vendite a distanza
Le vendite effettuate in occasione di fiere ed esposizioni, in altri Stati membri dell’Ue, sono in linea generale riconducibili alla nozione di “tentata vendita” ai fini dell’applicazione dell’IVA.
Si pensi al caso di una società italiana che invia in altri Stati membri i beni ivi destinati alla vendita, concludendo in loco, per il tramite di propri incaricati, i contratti con i clienti interessati all’acquisto.
L’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di ricordare, in passato, che tali operazioni non configurano vendite a distanza intracomunitarie (cfr. risoluzione n. 39/2005). Queste ultime, infatti, presuppongono che la cessione si perfezioni in un momento antecedente al trasporto o spedizione dei beni nell’altro Stato membro.
Nel caso della tentata vendita, invece, l’alienazione del bene (e quindi l’acquisizione da parte del cessionario del potere di disporne come proprietario) si realizza soltanto all’atto della stipula del contratto, vale a dire quando i beni si trovano già nello Stato membro dell’acquirente. Il distinguo evidenziato dalle Entrate permane anche nel nuovo contesto normativo delineato dal DLgs. 83/2021 con il quale, a partire dal 1° luglio 2021, è stata introdotta una specifica definizione di “vendite a distanza intracomunitarie di beni” (art. 38-bis del DL 331/93).
In breve, le cessioni di beni in regime di tentata vendita non seguono la disciplina IVA prevista per le vendite a distanza dagli artt. 33 lett. a) e 59-quater della direttiva 2006/112/Ce. Di conseguenza, nemmeno rientrano nell’ambito applicativo del regime speciale OSS, in quanto adottabile – nel caso delle cessioni di beni – solamente per “tutte le vendite a distanza intracomunitarie di beni di cui all’articolo 38-bis” (art. 74-sexies del DPR 633/72).
In termini generali, non si considera trasferimento a destinazione di un altro Stato membro la spedizione o il trasporto di un bene utilizzato temporaneamente, per una durata non superiore a 24 mesi, nel territorio di un altro Stato membro, a condizione che in tale Stato l’importazione di tale bene da un Paese terzo benefici del regime di ammissione temporanea in esenzione totale dai dazi (art. 17 par. 2 della direttiva 2006/112/Ce).
Secondo l’art. 234 del Reg. Ue 2446/2015, si tratta fra l’altro delle merci destinate a essere esposte o utilizzate durante una manifestazione pubblica o di quelle consegnate dal proprietario per esame a una persona nell’Ue che abbia diritto di acquistarle previo esame.
A livello nazionale, infatti, l’art. 41 comma 3 del DL 331/93 esclude dalle cessioni intracomunitarie l’invio in altro Stato membro di beni “che se fossero ivi importati beneficerebbero della ammissione temporanea in totale esenzione dai dazi doganali”.
La risalente ris. n. 39/2005 aveva, a suo tempo, esaminato il trattamento IVA da riservare alla tentata vendita richiedendo al soggetto passivo nazionale di verificare se la normativa nello Stato Ue di destinazione dei beni equipari il trasferimento all’introduzione di beni che a livello doganale sono completamente esonerati dai dazi all’importazione (non assimilati agli acquisti intracomunitari).
Nell’eventuale e residuale caso in cui così non fosse, tale Stato potrebbe considerare l’introduzione di prodotti per “tentata vendita” tra le acquisizioni per finalità rientranti nella sfera d’impresa (assimilate agli acquisti intracomunitari di beni): la società italiana dovrebbe effettuare un invio di beni “a sé stessa” (in regime di non imponibilità IVA ex art. 41 comma 2 lett. c) del DL 331/93) ed effettuare un acquisto intracomunitario nel medesimo Stato per il tramite di un rappresentante fiscale ivi nominato (ovvero mediante identificazione diretta), mentre la successiva vendita al consumatore finale rileverebbe quale cessione interna da assoggettare a imposta, certificata dal rappresentante fiscale con le modalità previste dalla normativa locale.
Assimilando, invece, l’operazione all’introduzione di beni esonerati dai dazi doganali, occorrerà accertarsi se lo Stato membro di destinazione consenta di escludere la cessione dalla disciplina intracomunitaria, sino al momento in cui i beni risultano venduti, nonché il lasso temporale consentito per la vendita dalla legislazione locale (se pari a 24 mesi o diverso).
In tale ipotesi, l’introduzione dei beni nell’altro Stato membro ai fini della tentata vendita non integra un’operazione intra-Ue. Il fornitore dovrà però annotare il trasferimento dei beni a titolo non traslativo della proprietà sul registro di cui all’art. 50 comma 5 del DL 331/93 ovvero indicare la presa in carico dei beni in un apposito documento numerato e conservato ai sensi dell’art. 39 del DPR 633/72. Per superare la presunzione di cessione, però, sembrerebbe necessaria l’annotazione sul registro o l’emissione di un DDT, integrato con la causale non traslativa o con altro valido documento di trasferimento (art. 1 comma 5 del DPR 441/97).
Nel momento in cui i beni sono venduti al privato nello Stato Ue di destinazione, il fornitore dovrà comunque regolarizzare l’operazione intracomunitaria al momento della conclusione della vendita, effettuando la cessione nello Stato di destinazione dei beni secondo la normativa locale.