La Cassazione ha riepilogato alcuni tratti della fattispecie ed esaminato la praticabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p.

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nella sentenza n. 18515/2022, ricapitola alcuni tratti essenziali della fattispecie di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali (art. 2 comma 1-bis del DL 463/1983 convertito).

Tale reato, precisa in primo luogo la Suprema Corte, si consuma nel luogo in cui devono essere versati i contributi previdenziali e assicurativi. Luogo da identificarsi nella sede dell’istituto previdenziale ove l’impresa ha aperto la sua posizione assicurativa e non nella sede legale dell’impresa; ciò in applicazione dell’art. 1182 comma 2 c.c., ai sensi del quale le obbligazioni aventi per oggetto una somma di denaro devono essere adempiute al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza.

Presupposto necessario del reato è l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti (cfr. Cass. SS.UU. n. 27641/2003); l’onere del pubblico ministero di dimostrare ciò è assolto con la produzione del modello DM 10, con la conseguenza che grava, poi, sull’imputato il compito di provare, in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce retributive inoltrate, l’assenza del materiale esborso delle somme.

L’importo complessivo superiore a 10.000 euro annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi incluse nel periodo 16 gennaio-16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell’anno precedente e nel novembre dell’anno in corso.

Trattandosi di reato a dolo generico, deve ritenersi integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, per cui non rileva, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e utilizzi risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti.

In particolare, l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere all’obbligazione contributiva richiede l’assolvimento da parte dell’imprenditore datore di lavoro dell’onere di allegare non solo la non imputabilità a sé della crisi economico-finanziaria, ma anche l’impossibilità di reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento dell’obbligo contributivo, pur avendo egli posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare le somme necessarie ad assolvere il predetto debito, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e allo stesso non imputabili.

La fattispecie omissiva in esame neppure può essere scriminata, ai sensi dell’art. 51 c.p., dalla scelta del datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni, perché, nel conflitto tra il diritto del lavoratore a ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo, essendo il solo a ricevere, in base a una scelta legislativa non irragionevole, tutela penale.
L’esistenza di plurime omissioni nel corso dell’anno in contestazione e in quelli antecedenti o successivi, ove pure queste ultime risultassero sprovviste di rilevanza penale, è da considerare ai fini della configurabilità o meno della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.

Secondo l’orientamento prevalente della Cassazione, infatti, la causa di esclusione della punibilità in questione non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale” per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ostativa al riconoscimento del beneficio, essendo il segno di una devianza “non occasionale” (cfr., tra le altre, Cass. n. 3353/2018). Peraltro, le Sezioni Unite, nella sentenza n. 18891 del 12 maggio, hanno stabilito che la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione può risultare ostativa alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. non di per sé, ma soltanto se è ritenuta, in concreto, idonea a integrare una o più delle condizioni previste tassativamente dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportamento come abituale.

Nella specie, comunque, è ritenuta corretta la decisione di merito che, dando conto anche di un decreto penale di condanna per omesso versamento IVA, escludeva la non punibilità in ragione sia della pluralità di violazioni della medesima indole compiute in annualità diverse (2013 e 2014), sia del fatto che gli importi complessivi di cui era stato omesso il versamento (28 nel 2013 per 11.069 euro e 90 nel 2014 per 10.834 euro), risultavano superare la soglia di punibilità di oltre il 10% nel primo anno e di poco meno di tale percentuale nel secondo, valorizzando il tutto sia sul piano della abitualità della condotta che su quello della non particolare tenuità (condizioni ostative al riconoscimento dell’esimente).