Rileva anche il lecito trasferimento all’estero del contante
La fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 del DLgs. 74/2000, può essere integrata sia dalla costituzione di uno sham trust nullo, sia dal trasporto all’estero di contanti entro i limiti legali.
Ad affermarlo è la Cassazione, nella sentenza n. 16540/2022.
L’art. 11 del DLgs. 74/2000 punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o dell’IVA, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a cinquantamila euro, alieni simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare di imposte, sanzioni e interessi risulti superiore a duecentomila euro si applica la reclusione da uno a sei anni.
Rispetto a tale reato si evidenzia, innanzitutto, come, quale presupposto necessario, sia sufficiente l’esistenza, al momento della condotta illecita, di un debito verso l’Amministrazione finanziaria, sebbene non ancora determinato precisamente, e anche se nemmeno oggetto di procedure di accertamento, purché per un ammontare complessivo stimabile in una somma superiore a cinquantamila euro.
Peraltro, dal momento che l’autore della condotta deve porre in essere la stessa al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o dell’IVA, ovvero di interessi o di sanzioni amministrative relativi a dette imposte, di ammontare complessivo almeno superiore a cinquantamila euro, lo stesso deve comunque agire nella consapevolezza dell’esistenza di tale debito.
Sempre riguardo al profilo soggettivo, è da considerare come la fattispecie sia configurabile anche se l’atto simulato o fraudolento sia compiuto, oltre che con il dolo specifico di sottrarsi al pagamento delle imposte, con altre finalità (cfr. Cass. n. 10763/2021); la disposizione incriminatrice, infatti, non richiede che la finalità di sottrarsi al pagamento dei debiti tributari indicati si presenti esclusiva.
Quanto al primo aspetto evidenziato in premessa, la Suprema Corte osserva come, costituendo un trust – seppure nullo perché sham trust – si crei uno schermo formale, un diaframma, tra patrimonio personale e proprietà costituita in trust, nel quale confluisce il patrimonio, nella specie immobiliare (cfr. Cass. n. 13276/2011).
Questo schermo formale può “cadere” solo in caso di rivelazione della situazione di mera apparenza; quando cioè emerga che, pur nella presenza formale del trust, il soggetto cui è contestata la fattispecie in questione continui ad amministrare i beni, avendone conservato la piena disponibilità. L’atto fraudolento, allora, pur presentando natura di sham trust, rende più difficoltosa l’azione di recupero del bene sia perché, in un primo momento, già con il trust è stato sottratto alle ragioni dell’Erario, sia perché, in un secondo momento, dell’atto giuridico formalmente esistente si dovrà comunque dimostrare la nullità, procedendo giudizialmente per ottenere la sua eliminazione dal mondo giuridico, per poi provvedere all’esecuzione sui beni conferiti (cfr. Cass. n. 20862/2018).
Pertanto, conclude sul punto la Suprema Corte, si reputa possibile affermare che la realizzazione di un trust “autodichiarato”, costituito nei termini di cui sopra, integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, rappresentando uno schermo formale creato per separare il patrimonio personale da quello segregato nel trust; in virtù di tale effetto, inoltre, la costituzione di uno sham trust integra comunque il reato contestato, indipendentemente dal fatto che l’atto sarebbe da considerarsi nullo ovvero simulato.
Il secondo aspetto evidenziato in premessa attiene, invece, alla possibile rilevanza, ai fini della fattispecie in questione, del lecito trasferimento di contanti all’estero (cfr. l’art. 3 del DLgs. 195/2008).
Rispetto a tale condotta lecita, la decisione in commento osserva come non sia possibile difendersi meramente sottolineando come non ogni atto dispositivo del debitore sia attaccabile, essendo pur sempre necessario un artificio o inganno. Tale affermazione, infatti, in astratto corretta, si scontra con il rilievo che la possibilità legale di esportare valuta all’estero in certi limiti non esclude che il trasferimento avvenga proprio per sottrarre il denaro alla garanzia patrimoniale dell’Erario; e, in tal caso, il rendere (almeno) più difficoltosa l’azione di recupero del credito appare insito nell’atto stesso.
Del resto, conclude la Cassazione, non esiste, né nelle norme né nell’interpretazione giurisprudenziale, un principio in base al quale la tutela del credito possa prescindere, quanto alla scelta del mezzo di tutela da parte del creditore, dalla localizzazione (nazionale o meno) della garanzia patrimoniale; localizzazione che rappresenta, quindi, un aspetto per nulla irrilevante o trascurabile in presenza di tutele convenzionali.