Il giudizio sull’idoneità della condotta a offendere il bene può derivare da tale valutazione, parametrata sulla nozione di «investitore ragionevole»

Di Stefano COMELLINI

I reati di “manipolazione del mercato” (art. 185 del DLgs. n. 58/1998) e di “ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità di vigilanza” (art. 2638 comma 1 c.c.) sono fattispecie di pericolo concreto in cui il giudizio sull’idoneità della condotta a offendere il bene tutelato può derivare da una valutazione postuma ex ante, parametrata sulla nozione di “investitore ragionevole”. Il principio di diritto, di recente già espresso (Cass. n. 3555/2022), è stato ribadito dai giudici di legittimità, con diffuse argomentazioni, nella sentenza n. 17789 depositata ieri.

Agli imputati erano appunto contestati, in concorso tra loro, i reati di cui agli artt. 185 del TUF e 2638 c.c., per avere, quali soggetti investiti di funzioni gestorie di una spa quotata, posto in essere condotte idonee ad alterare in maniera sensibile il prezzo del relativo titolo sul mercato regolamentato MTA, nonché a costituire ostacolo alla funzione di vigilanza della Consob. In particolare, gli stessi avevano comunicato, in più occasioni, false informazioni riguardo sia alle trattative di vendita di un’importante area industriale, sia ai rapporti e alle esposizioni con gli istituti di credito.

Gli imputati venivano tratti avanti la Corte dalla Consob, parte civile ricorrente nei confronti della “doppia conforme” assolutoria emessa nei gradi di merito per difetto di prova delle falsità contestate e, comunque, per inidoneità delle condotte a provocare la sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari e a produrre ostacolo alla vigilanza.
In sintesi, i giudici di merito avevano accertato che gli investitori a cui le comunicazioni erano destinate erano certamente consapevoli che, allora, il valore del titolo quotato era in costante e considerevole diminuzione, così da far ritenere che se l’investitore accorto – l’“investitore ragionevole” – non si era fatto influenzare in modo sensibile dai comunicati societari, anche la Consob non poteva essere stata sviata o ostacolata nelle sue funzioni di vigilanza, avendo ben più significativi poteri pure esercitati, nel caso di specie, in più occasioni.

Nel rigettare il ricorso della Consob, la Cassazione ha richiamato e condiviso integralmente le argomentazioni dei giudici di merito: la valutazione ex ante sull’idoneità delle condotte contestate deve riferirsi alla figura dell’“investitore ragionevole”, già prevista, quale parametro soggettivo della “informazione privilegiata”, dall’abrogato art. 181 comma 4 del TUF e ora determinata, con più ampia definizione, dal Considerando 14 del Regolamento Ue n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato, in colui che “basa le proprie decisioni di investimento sulle informazioni già in suo possesso”, disponibili prima dell’informazione la cui idoneità ad alterare il mercato deve essere verificata.

A tal fine, occorre inoltre considerare l’effetto previsto dall’informazione alla luce dell’attività complessiva dell’emittente, l’attendibilità della fonte, nonché ogni altra variabile di mercato che, nelle circostanze date, possa influire sugli strumenti finanziari. A questi riferimenti può aggiungersi a riscontro – ma con valenza non autosufficiente – una verifica ex post sull’effettiva alterazione dei titoli quale elemento sintomatico di conferma della idoneità o meno della condotta.

Riguardo all’altra contestazione, peraltro riferita a tutte le fattispecie previste dall’art. 2638 c.c., la Suprema Corte, nel confermare l’assoluzione degli imputati, ne ha ribadito la natura di “norma mista cumulativa” (Cass. n. 6884/2016).
Infatti, l’incriminazione di cui all’art. 2638 comma 1 c.c. è incentrata su due condotte alternative, dotate di pari offensività e finalizzate a celare l’effettiva realtà economica, patrimoniale o finanziaria dei soggetti sottoposti al controllo delle autorità pubbliche di vigilanza: l’esposizione di fatti non rispondenti al vero e l’occultamento (anche parziale), con altri mezzi fraudolenti, di fatti la cui comunicazione sia imposta da una fonte normativa, non esclusivamente identificabile nella legge, ma che in quest’ultima trovi la sua legittimità. In altre parole, si tratta di reato di mera condotta e di pericolo concreto in cui l’ostacolo alle funzioni di vigilanza è solo l’oggetto sperato del dolo specifico.

La fattispecie di cui all’art. 2638 comma 2 c.c. richiede invece, per la sua consumazione, che si sia realizzato un effettivo ostacolo alle funzioni di vigilanza, configurandosi come un reato di danno che può essere integrato, oltre che dall’impedimento in toto dell’esercizio della funzione di vigilanza, anche dall’effettivo e rilevante ostacolo frapposto al dispiegarsi della funzione, con comportamenti di qualsiasi forma, comunque tali da determinare difficoltà di considerevole spessore o un significativo rallentamento – e non il mero ritardo – dell’attività di controllo (Cass. n. 29377/2019).

La Cassazione ha così concluso che, sulla base di tali presupposti, i giudici di merito avessero valutato correttamente l’insussistenza delle condotte contestate perché la Consob non poteva di certo ritenersi meno consapevole dell’investitore ragionevole, così che anche la funzione di vigilanza risultava, in concreto, esercitabile senza turbative e inquinamenti.