Il limite economico, secondo l’Agenzia delle Entrate, è un vincolo invalicabile anche ai fini fiscali
La risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 230 di ieri, 28 aprile 2022, torna a distanza di anni sul tema “spinoso” della base imponibile dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei beni d’impresa nei casi (molto frequenti) in cui il valore civile e il valore fiscale dei beni divergano a fronte del mancato riconoscimento fiscale di una parte degli ammortamenti.
Il principio evidenziato dall’Amministrazione finanziaria è quello per cui, prevedendo l’art. 6 del DM 162/2001 che, “anche ai fini fiscali”, il valore attribuito ai beni non possa essere superiore al valore realizzabile nel mercato, ove la rivalutazione operata sul differenziale civilistico possa portare il valore fiscale del bene ad un importo eccedente il valore di mercato, la base imponibile dell’imposta sostitutiva va corrispondentemente ridotta.
Il caso esaminato è quello di immobili già oggetto di una precedente rivalutazione (per la quale si prevedeva che i maggiori valori iscritti fossero sospesi per tre anni ai fini degli ammortamenti), i quali conservavano al 31 dicembre 2020 un valore inespresso, oggetto di rivalutazione ai sensi dell’art. 110 del DL 104/2020.
Per fare un semplice esempio, si potrebbe versare nella situazione in cui il bene, portato per ipotesi da zero a 100 all’atto della prima rivalutazione, sia stato ammortizzato ai fini civilistici per 50 (cinque quote di 10), ma ai fini fiscali solo per 20 (due quote di 10, in quanto le prime tre sono state riprese in aumento e verrebbero dedotte “in coda”, al termine dell’ammortamento civilistico).
Ove il bene, iscritto nell’attivo a 50 (ma con un valore fiscale di 80), abbia un valore di 100 al 31 dicembre 2020, le alternative prospettate sono state due:
– con la prima si assolverebbe l’imposta sostitutiva del 3% sul differenziale civilistico di 50, mantenendo il diritto di ammortizzare fiscalmente le quote non dedotte in coda;
– con la seconda, invece, si eliminerebbero i fondi di ammortamento non riconosciuti fiscalmente, con una rivalutazione solo civilistica di 30, e per la differenza di 20 si rivaluterebbe il bene anche ai fini fiscali, con l’imposta sostitutiva del 3%.
Come rilevato, non è stata ritenuta corretta la prima impostazione, basata sull’assunto per cui la rivalutazione deve fondarsi sui parametri meramente civilistici.
Più precisamente, questo principio, già evidenziato nella sostanza nella circolare n. 57/2001 (§ 1.4) con riferimento ai beni svalutati senza effetto fiscale, verrebbe mantenuto: esso, però, dovrebbe essere derogato ove la rivalutazione effettuata (50) sia suscettibile di portare il valore fiscale ad un importo (80 + 50 = 130) superiore a quello di mercato (100).
Questa risulterebbe, ad una prima analisi, l’interpretazione che dà l’Agenzia della fattispecie.
Ciò, come detto, si baserebbe su un lettura dell’art. 6 del DM 162/2001 per cui, a seguito della rivalutazione in bilancio, non solo il valore civilistico, ma anche quello fiscalmente riconosciuto, non devono eccedere il valore di mercato (e ciò anche nei casi in cui il valore fiscale ante rivalutazione sia superiore a quello civilistico).
Se, invece, si verifica un’eccedenza, l’imposizione sostitutiva andrebbe limitata alla differenza (nel caso esaminato, 20), al fine di evitare di gravare l’impresa dell’imposizione sostitutiva su valori che non potrebbero essere riconosciuti.
Questa impostazione, come rilevato dalla risposta a interpello n. 230/2022, è circoscritta alle situazioni in cui l’integrale riconoscimento dei maggiori valori è impedito dal superamento del valore massimo rivalutabile.