Non rileva nemmeno l’abolizione della condotta sanzionabile se non retroattiva

Di Alfio CISSELLO

Ieri si sono pronunciate le tanto attese Sezioni Unite sulla problematica del favor rei, che, con la sentenza 27 aprile 2022 n. 13145, hanno adottato una linea rigorosa, che limita non di poco le ipotesi in diritto tributario in cui esso trova applicazione.

Volendo essere precisi, come rammentato dalle Sezioni Unite il tema non riguarda propriamente il favor rei (relativo al trattamento sanzionatorio più favorevole in caso di successione di leggi nel tempo, art. 3 comma 3 del DLgs. 472/97), ma la c.d. abolitio criminis (abolizione tout court della condotta sanzionabile, art. 3 comma 2 del DLgs. 472/97).
La differenza tra i due istituti non è solo dogmatica, basti pensare che solo per l’abolitio criminis le sanzioni vengono meno anche quando la loro contestazione è definitiva, salva la non ripetibilità di quanto pagato.

La fattispecie da cui origina la sentenza riguarda le sanzioni conseguenti al disconoscimento dell’agevolazione prima casa per gli immobili di lusso.
Prima della modifica dell’art. 33 del DLgs. 175/2014 gli immobili considerati “di lusso” ex DM 2 agosto 1969 non potevano accedere all’aliquota agevolata, mentre nel sistema successivo potevano fruirne, se classificati in determinate categorie catastali.

Varie sentenze hanno ritenuto che ciò configurasse un fenomeno di abolitio criminis, ma, in effetti, l’orientamento in generale sul tema è di diverso avviso.
Basti pensare, come precisano le Sezioni Unite, all’abrogazione dell’imposta (si pensi all’abrogazione dell’ILOR) o all’abolizione di obblighi che fungono da presupposto per l’irrogazione della sanzione (si pensi al venir meno dell’obbligo di indicazione separata dei costi black list), tutte fattispecie in cui, sia pure con alcune oscillazioni, l’abolitio criminis è stata negata.
Per le Sezioni Unite, “costante è, difatti, l’affermazione che, qualora da una certa data un’imposta non sia più dovuta, ma lo resti per il periodo precedente, non si verifica alcuna abolitio criminis, la quale richiede la radicale eliminazione del presupposto impositivo”.

Nel caso della prima casa, la dichiarazione resa in atto era ed è rimasta mendace (si legge nel punto 11 della sentenza: “E lo resta perché quel che conta è la fattispecie astratta della dichiarazione mendace, e non l’oggetto di essa, che, in quanto antecedente di fatto, rappresenta un elemento esterno alla struttura della violazione”).

Richiamando la giurisprudenza penale, si evidenzia come non sia da tempo accettata la teoria della c.d. doppia punibilità in concreto. Accettando che sussista una abolitio criminis, “si evoca giustappunto la doppia punibilità in concreto, poiché si richiede, per poter lasciar ferma la sanzione, che il fatto, punito in base alla legge anteriore, lo sia anche in base a quella posteriore. Al contrario, se, nonostante la modificazione normativa, l’imposta, per il passato, continua ad essere dovuta, la modificazione segna il passaggio tra due contesti giuridici, con le correlate situazioni di fatto: fare applicazione al primo contesto del trattamento riservato al secondo, sia pure ai soli fini sanzionatori, si traduce in un’inammissibile applicazione della norma nuova a una situazione diversa da quella alla quale essa si riferisce”.
Insomma, considerato che le innovazioni che hanno cambiato i parametri per considerare l’immobile come di lusso non sono, per espressa disposizione di legge, retroattive, non c’è abolitio criminis.

Le conclusioni a cui sono giunte le Sezioni Unite non sono a nostro avviso convincenti in quanto si scontrano con la ratio legis sottesa al DLgs. 472/97, che, in ottica di garanzia verso il contribuente, ha l’intento di superare il vecchio assetto normativo, ispirato a esigenze opposte.

Si veda l’ormai abrogato art. 20 della L. 4/29: “Le disposizioni penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione”.
Si rischia di “far entrare dalla finestra” ciò che il legislatore, con il DLgs. 472/97, ha inteso “far uscire dalla porta”.
Ragionando nel senso descritto, si rischia che l’art. 3 comma 2 del DLgs. 472/97 sia nei fatti quasi mai applicato.
È a dir poco frequente, in diritto tributario, che un obbligo comunicativo o di altro genere venga meno, oppure che un’agevolazione abbia presupposti diversi con effetto non retroattivo.

Insomma, perché operi l’abolitio criminis è necessario non solo che venga meno il tributo, l’obbligo comunicativo o una specifica condizione per evitare il disconoscimento di un beneficio, occorrendo altresì che la relativa legge si autoqualifichi come retroattiva.
Condizioni, queste, che sembrano davvero eccessive.