La Cassazione ha censurato la condotta di un’impresa che aveva omesso di rappresentare l’effettuazione di un’operazione di leveraged buy out

Di Antonio NICOTRA e Marco PEZZETTA

In tema di revoca del concordato per atti di frode ex art. 173 del RD 267/42, i criteri interpretativi adottati dalla giurisprudenza di legittimità si ravvisano, da un lato, nella valenza anche solo potenzialmente decettiva delle informazioni rese dal debitore ai creditori chiamati a esprimersi, con il voto, sulla proposta concordataria, a prescindere dal pregiudizio loro arrecato in concreto; dall’altro, nell’irrilevanza di una condotta del debitore affetta da dolosa preordinazione, essendo sufficiente la consapevole volontarietà della stessa (ex plurimis, Cass. n. 15013/2018).
Queste le conclusioni a cui è giunta la Cassazione con l’ordinanza n. 12115 di ieri nel censurare la condotta di un’impresa che, nella proposta di concordato, aveva omesso di rappresentare (con dovuta puntualità) l’effettuazione di un’operazione di leveraged buy out, la quale, in ragione degli esiti di una fusione inversa, aveva fatto confluire fra le passività della società target il finanziamento bancario contratto per la sua acquisizione.

L’omissione informativa è stata considerata, quindi, un atto di frode, posto che è tale non solo il fatto o l’atto taciuto o mistificato, ma anche quello indicato in modo inadeguato o incompiuto (tra le altre, Cass. nn. 25458/201929243/20216772/2022), purché il deficit informativo sia idoneo a incidere sulle valutazioni dei creditori a prescindere dal pregiudizio effettivamente arrecato (Cass. nn. 30537/201825458/201929243/2021) e indipendentemente dal voto espresso pur dopo essere stati resi edotti degli accertamenti svolti dal commissario giudiziale (Cass. nn. 14552/2014 e 15695/2018).

Ciò che rileva, ai fini di tale revoca, è, quindi, che si tratti di fatti “accertati” dal commissario giudiziale – con la precisazione che rientrano in tale categoria non solo quelli “scoperti”, perché ignoti nella loro materialità, ma anche quelli non adeguatamente e compiutamente esposti nella proposta concordataria e nei suoi allegati (Cass. n. 16856/2018) – e che gli stessi siano potenzialmente idonei a pregiudicare il c.d. consenso informato dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento, per come indicate nella proposta concordataria, dovendo il giudice verificare, quale garante della regolarità della procedura, che siano forniti ai creditori tutti gli elementi necessari per una corretta valutazione della sua convenienza (Cass. n. 22663/2021).

Lo strumento è volto a neutralizzare il valore decettivo delle omissioni, alterazioni, incompletezze o inadeguatezze delle informazioni fornite ai creditori con la proposta di concordato, da valutare al momento del deposito della domanda (a prescindere da eventuali “ravvedimenti postumi” del debitore che si trasfondano in modifiche della proposta).
Dal combinato disposto degli artt. 161 e 172 del RD 267/42 emerge l’obbligo per il debitore di una effettiva disclosure su tutti i fattori relativi alle condizioni dell’impresa e alla convenienza della proposta, in funzione informativa del ceto creditorio (Cass. n. 20870/2021).

Nel caso di specie, l’operazione di leveraged buy out posta in essere (caratterizzata, peraltro, dal fatto di avere a oggetto una quota di minoranza del capitale della società target) era stata descritta come mera “fusione inversa”, omettendo di indicare che si trattava di “fusione con indebitamento” ex art. 2501-bis c.c., istituto che, in ragione dei limiti di legge in materia di assistenza finanziaria per l’acquisto delle proprie azioni (art. 2358 c.c.), si connota per una disciplina particolare, posta, fra l’altro, a tutela dei creditori della incorporante e in seno alla quale confluisce il debito contratto dal veicolo costituito per effettuare l’acquisizione.

Questo tipo di omissione arricchisce, quindi, il novero delle fattispecie già esaminate in passato dai giudici di legittimità con analogo giudizio di censura, quali: l’aver il proponente fatto generico riferimento, nella proposta, a un credito per la vendita di partecipazioni azionarie ed esplicitando, solo a seguito della relazione del commissario giudiziale, i dettagli specifici dell’operazione di vendita del pacchetto azionario (Cass. n. 25165/2016); una delibera di riduzione volontaria del capitale sociale non adeguatamente e compiutamente illustrata nella proposta, pur in mancanza di tempestiva opposizione da parte dei creditori ai sensi dell’art. 2482 c.c. (Cass. n. 2773/2017); l’avere la società proponente omesso di fornire una plausibile spiegazione circa il rilevante scostamento di valore delle rimanenze di magazzino riportato nella proposta di concordato rispetto a quello indicato nell’ultimo bilancio (Cass. n. 15695/2018); il silenzio serbato nella proposta concordataria e nel piano annesso – ancorché annotata nelle scritture contabili – su un’operazione di scissione patrimoniale, effettuata dalla debitrice già insolvente e consistita nel conferimento di immobili a una società controllata e nella successiva cessione di quote a un terzo (Cass. n. 16856/2018).