Non rileva che il risparmio conseguito per la mancata adozione delle misure antinfortunistiche sia stato minimo a fronte delle spese di manutenzione
In forza del DLgs. 231/2001 una società o un ente è responsabile per taluni reati che vengano commessi nel suo interesse o a suo vantaggio.
Ampio è il dibattito sull’esatto inquadramento della nozione di “interesse” e “vantaggio”, soprattutto in relazione ai reati colposi in materia di sicurezza sul lavoro e di reati ambientali (tra le più recenti, Cass. nn. 28725/2018, 16713/2018 e 24697/2016).
La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che tale criterio soggettivo di imputazione consista nella prospettazione finalistica, da parte della persona fisica, di arrecare un interesse all’ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato o meno concretamente raggiunto (Cass. SS.UU. n. 38343/2014).
In particolare, nell’ambito della sicurezza sul lavoro, l’interesse o il vantaggio vengono associati al risparmio di spesa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente, facendo ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione.
Su questi argomenti è tornata di recente la Cassazione con la sentenza n. 13218 depositata lo scorso 7 aprile, affermando che, in materia di responsabilità dell’ente per violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro ex DLgs. 231/2001, è irrilevante che il risparmio derivante dall’adozione di modalità organizzative poco dispendiose sia “esiguo” se raffrontato alle spese che ordinariamente la società sostiene per la manutenzione.
Una snc era stata ritenuta responsabile ai sensi degli artt. 5 e 25-septies del DLgs. 231/2001 per l’infortunio occorso a un dipendente della società che, attraversando un piazzale adibito al deposito e alla movimentazione delle merci con mezzi meccanici, è stato investito da un muletto in retromarcia condotto da altro dipendente della medesima società.
Si noti che dagli accertamenti compiuti in sede di giudizio di merito era emerso che nel piazzale non era presente alcuna forma di segnaletica stradale. Il documento di valutazione del rischio prevedeva, invece, espressamente la realizzazione di una segnaletica orizzontale volta a delimitare l’area adibita alla movimentazione dei mezzi, ma questa misura di prevenzione, che lo stesso datore di lavoro aveva individuato come doverosa, non è mai stata attuata se non in epoca successiva all’infortunio.
Inoltre, il tecnico incaricato della manutenzione del muletto aveva segnalato la necessità di riparare o sostituire il “cicalino di retromarcia”, senza che nessuno provvedesse in tal senso.
I giudici di legittimità ricordano che il “risparmio” per l’impresa, nel quale si concretizza il criterio di imputazione oggettiva rappresentato dall’interesse, può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione (tre le tante, Cass. n. 16598/2019).
Un tale risparmio si può realizzare anche consentendo lo spostamento simultaneo di uomini e mezzi senza delimitare le rispettive aree di azione ed è ravvisabile anche in relazione a trasgressioni isolate se altre evidenze fattuali dimostrano il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente (Cass. n. 12149/2021).
Di tale pronuncia è interessante in particolare il passaggio per cui non rileva la circostanza che il risparmio conseguito per la mancata adozione delle misure antinfortunistiche sia stato minimo a fronte delle spese ingenti che la società affronta per la manutenzione e la sicurezza.
Non viene, così, considerato applicabile il principio, affermato recentemente dalla Cassazione n. 22256/2021, secondo cui ove il giudice accerti l’esiguità del risparmio derivante dall’omissione delle cautele dovute, per affermare che il reato sia stato realizzato nell’interesse dell’ente è necessaria la prova dell’oggettiva prevalenza delle esigenze di produzione e profitto rispetto a quelle della tutela dei lavoratori. In sostanza un simile principio può operare solo in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro.
Come si è detto, nel caso di specie, il rischio era stato valutato esistente dallo stesso datore di lavoro, e le misure per prevenirlo, indicate nel documento di valutazione del rischio, sono state poi consapevolmente disattese per un lungo periodo di tempo.