La Cassazione sposa l’interpretazione più restrittiva in materia di sanzioni penali conseguenti all’indebita percezione del beneficio
La giurisprudenza non è concorde sui presupposti per l’integrazione del reato previsto in caso di indebita percezione del reddito di cittadinanza.
L’art. 7 comma 1 del DL 4/2019 sanziona, con la reclusione da 2 a 6 anni, la condotta di chi rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute al fine di ottenere indebitamente tale beneficio. Il comma 2 aggiunge la reclusione da uno a 3 anni in caso di omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio.
Secondo un’impostazione confermata dalla sentenza n. 5309 della Corte di Cassazione depositata ieri, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, dei dati di fatto riportati nelle dichiarazioni previste per l’ammissione al reddito di cittadinanza integrano la fattispecie di rilievo penale indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio; nella specie, peraltro, l’ordinanza impugnata ha evidenziato come gli accertamenti abbiano permesso di far emergere che la beneficiaria non avrebbe avuto, in realtà, il diritto di percepire detta forma di erogazione.
Così è stato confermato il sequestro del profitto derivante da tale reato in un caso in cui la beneficiaria era risultata titolare di vincite nell’ambito di giochi on line, organizzati da soggetti concessionari o autorizzati dallo Stato, pari rispettivamente a 61.926,42 euro nel 2017 e a 37.422,87 euro nel 2018. Tali redditi, per quanto non debbano essere indicati nella dichiarazione annuale ai fini delle imposte dirette (in quanto la tassazione si verifica a monte, mediante ritenuta alla fonte a titolo di imposta), sono rilevanti ai fini della concessione o meno del redito di cittadinanza, atteso che il valore del reddito familiare è determinato, secondo quanto prevede il comma 6 dell’art. 2 del DL 4/2019, ai sensi dell’art. 4 comma 2 del DPCM n. 159/2013, la cui lett. b) contempla i redditi soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo d’imposta quale elemento del reddito di ciascun componente del nucleo familiare.
In realtà, le vincite in questione erano state accreditate su un conto tenuto solo per finalità di gioco, a fronte del quale era possibile effettuare “ricariche” o “riscossioni” di somme vinte. Nonostante ciò, i giudici ritengono sufficiente per il fumus del reato (e per il conseguente sequestro) che il conseguimento di tali redditi potesse coincidere con l’accreditamento dei relativi importi sul conto nella disponibilità della vincitrice, non occorrendo che a esso seguisse il materiale prelievo della provvista corrispondente (prelievo che, in ogni caso, in termini di principio era comunque possibile, come affermato dalla stessa difesa della ricorrente), potendo questa essere lasciata sul conto stesso e destinata a ulteriori giocate.
Sul piano del diritto, la Cassazione afferma che entrambe le fattispecie presenti nel citato art. 7 (commi 1 e 2) si configurano come reati di condotta e di pericolo, in quanto dirette a tutelare l’amministrazione contro mendaci e omissioni circa l’effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte dei soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al “reddito di cittadinanza”.
In senso conforme, la Cassazione n. 5289/2020 aveva affermato che la fattispecie trova applicazione indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge. Ciò perché il legislatore ha inteso creare un meccanismo di riequilibrio sociale, quale il reddito di cittadinanza, il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione, che sia ispirata alla massima trasparenza.
Una diversa interpretazione è stata, invece, proposta dalla pronuncia n. 44366/2021, che ha ritenuto che laddove le informazioni false od omesse non incidano sulla legittimazione ad accedere al beneficio il reato stesso non sarebbe configurabile.
Tale impostazione si sofferma sull’avverbio “indebitamente” contenuto nella norma in esame, che si riferirebbe a una volontà diretta a un conseguimento del beneficio contra jus, cioè in assenza degli elementi sostanziali per il suo riconoscimento. Un diverso argomentare porterebbe – secondo quest’ultima pronuncia – a una violazione del principio di concreta offensività, posto che si potrebbe punire una violazione “formale” anche qualora non abbia portato ad alcun effettivo nocumento per l’ente erogatore.