Dopo la pronuncia a Sezioni Unite n. 42415/2021 si sta formando un nuovo indirizzo interpretativo sul tema

Di Maria Francesca ARTUSI

In giurisprudenza si sta facendo strada un nuovo indirizzo interpretativo relativo alla individuazione del profitto nei reati tributari e alla conseguente qualificazione della confisca come diretta ovvero come equivalente quando abbia a oggetto somme di denaro (o un risparmio di imposta).

Una recente pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. n. 42415/2021) ha, infatti, affermato che la confisca diretta dei proventi monetari del reato non ha carattere afflittivo e, tantomeno, sanzionatorio, assolvendo unicamente una finalità ripristinatoria; ciò in quanto l’ablazione ha ad oggetto “solo l’effettivo accrescimento monetario direttamente prodotto nel patrimonio del reo dal dimostrato conseguimento da parte sua del prezzo o profitto del reato consistente in una somma di denaro”.

Tale pronuncia prosegue, poi, affermando che “se il nesso di diretta derivazione dal reato dovesse essere unicamente riferito alla somma di denaro fisicamente conseguita dal reo o, al più, esteso a quella risultante in via immediata dalla sua trasformazione tracciabile, la confisca diretta del denaro sarebbe limitata a rarissime e del tutto marginali ipotesi, a veri e propri casi di scuola”.

Negli altri casi, la confisca del denaro dovrebbe sempre essere ritenuta una confisca di valore e potrebbe operare solo in ragione delle eccezionali ipotesi in cui quello specifico strumento ablatorio è consentito. Ma ciò, oltre a contraddire l’ontologica natura del denaro – caratterizzato dall’essere destinato a circolare rapidamente e in forma per lo più anonima quale strumento di pagamento e parametro di valore – comporterebbe evidenti ricadute negative sul piano della coerenza stessa del sistema, il quale verrebbe a fondarsi principalmente su casi di confisca per equivalente invece che sul primario strumento della confisca diretta.

In definitiva, qualora il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l’ablazione del denaro comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto fino alla concorrenza del valore del profitto medesimo e deve essere qualificata come confisca diretta e non per equivalente.

Richiamando tali affermazioni, la Cassazione – nella sentenza n. 45984 depositata ieri – ha confermato il sequestro preventivo del profitto di un reato di indebita compensazione (art. 10-quater del DLgs. 74/2000) nei confronti di una srl, ordinato per una somma di più di 500.000 euro da ricercare anche sui conti correnti o depositi o su qualsiasi altro tipo di rapporti bancari intestati o cointestati, riconducibili o, comunque, nella disponibilità del legale rappresentante. Si noti che tale procedimento vede coinvolto, in concorso con l’amministratore, quel commercialista a cui era stato contestato un sistema illecito per compensare indebitamente i crediti in favore dei propri clienti, di cui si è già dato atto su Eutekne.info nel commento alle sentenze nn. 43620 e 43621/2021 (si veda “Professionista interdetto per l’indebita compensazione in favore del cliente” del 27 novembre 2021).

La difesa, nel caso oggi in esame, oppone che tali somme non potrebbero essere considerate “profitto del reato” in quanto i conti della società sono sempre stati sottoposti a sequestro e le somme rinvenute su tali conti erano derivate da titoli leciti, in particolare da pagamenti di clienti terzi.

Tale difesa trova fondamento in un altro orientamento della Cassazione – poi superato dalle citate Sezioni Unite – secondo cui, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, la natura fungibile del denaro non consente la confisca delle somme depositate su un conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le stesse non possono in alcun modo derivare dal reato e costituiscano, pertanto, profitto dell’illecito (Cass. n. 8995/2018 e Cass. n. 12058/2020).

In proposito, anche la Cassazione n. 23040/2020 aveva precisato che il sequestro preventivo derivante dal delitto di indebita compensazione, commesso dall’amministratore di una persona giuridica, può avere ad oggetto il saldo attivo presente sul conto corrente sociale al momento della consumazione del reato, coincidente con la presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato, sul rilievo indiziario che le disponibilità monetarie si siano accresciute per il risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta. Resta, poi, onere della difesa allegare circostanze specifiche da cui desumere che, alla data di consumazione del reato, non vi fossero sul predetto conto somme liquide a disposizione del contribuente o che il denaro sequestrato sia frutto di accrediti con causa lecita effettuati successivamente a tale momento.

Tuttavia, per la pronuncia oggi in esame, il sequestro confermato dal Tribunale del riesame non si presenta censurabile ponendosi perfettamente in linea con il richiamato principio di diritto di recente formulazione.