Restano escluse le imprese individuali e occorre fare attenzione al «ne bis in idem»

Di Maria Francesca ARTUSI

Le società unipersonali sono soggette alla responsabilità prevista dal DLgs. 231/2001. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 45100 depositata ieri, ha affrontato il tema dell’inclusione di tali società nel raggio d’azione della disciplina della responsabilità da reato dell’ente, distinguendo questi soggetti dalle imprese individuali, per le quali tale disciplina resta esclusa.

Vero è che l’estrema semplificazione della struttura, l’origine e la consistenza patrimoniale dell’ente, la gestione della società unipersonale inducono a ritenere, sul piano percettivo, inesistenti le differenze con l’impresa individuale e a considerare di fatto coincidenti i due soggetti; e tuttavia i due istituti restano profondamente diversi.
La prima rappresenta un soggetto giuridico autonomo e distinto dalla persona fisica dell’unico socio; un soggetto metaindividuale a cui la legge riconosce, in presenza di determinati presupposti, una personalità diversa rispetto a quella della persona fisica. Si tratta cioè di un soggetto che ha un proprio patrimonio autonomo, che costituisce un autonomo centro di imputazione di interessi, che ha una sua soggettività, che la legge fa discendere automaticamente in presenza di determinati presupposti.
Le imprese individuali, di converso, possono anche avere un’organizzazione interna estremamente complessa, ma non sono enti collettivi e dunque per ciò solo sono escluse dall’ambito di applicazione della responsabilità 231.

Su questi presupposti, i giudici di legittimità passano ad affrontare i limiti e le condizioni in presenza delle quali la società unipersonale possa rispondere ai sensi del DLgs. 231/2001.
La questione non si pone nei casi di società unipersonale partecipata da una società di capitali o di società unipersonali che evidenzino una complessità e una patrimonializzazione tali da rendere percettibile, palpabile, l’esistenza di un centro di imputazione di interessi giuridici autonomo e indipendente rispetto a quello facente capo al singolo socio.

Nel caso di realtà di piccole dimensioni, viene invece evidenziata la necessità di un attento accertamento in concreto, volto a verificare se, in presenza di una società unipersonale a responsabilità limitata, vi siano i presupposti per affermare la responsabilità dell’ente.

Un accertamento che non è indissolubilmente legato solo a criteri quantitativi, cioè di dimensioni della impresa, di tipologia della struttura organizzativa della società, quanto, piuttosto, a criteri funzionali, fondati sull’impossibilità di distinguere un interesse dell’ente da quello della persona fisica che lo “governa” e, dunque, sull’impossibilità di configurare una colpevolezza normativa dell’ente – di fatto inesigibile – disgiunta da quella dell’unico socio.

Andranno utilizzati i criteri dettati dal DLgs. 231/2001 di imputazione oggettiva e soggettiva del fatto della persona fisica all’ente, in cui la dimensione sostanziale interferisce con quella probatoria, in cui assume rilievo la distinzione e la distinguibilità fra l’interesse della società e quello della persona fisica del rappresentante. Una verifica complessa che si snoda attraverso l’accertamento dell’organizzazione della società, dell’attività in concreto posta in essere, della dimensione dell’impresa, dei rapporti tra socio unico e società, dell’esistenza di un interesse sociale e del suo effettivo perseguimento.
In tal senso si spiega la previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 5 del DLgs. 231/2001 che esclude la responsabilità dell’ente quando le persone fisiche (siano esse apici o sottoposti) abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

La norma stigmatizza proprio il caso di “rottura” dello schema di immedesimazione organica; si riferisce cioè alle ipotesi in cui il reato della persona fisica non sia in alcun modo riconducibile all’ente perché non realizzato neppure in parte nell’interesse di questo; che, ove risulti per tal via la manifesta estraneità della persona giuridica, il giudice non dovrà neanche verificare se essa abbia per caso tratto un vantaggio (cfr. Cass. n. 15543/2021).

Da un lato, vanno evitate eventuali violazioni del principio del “ne bis in idem” sostanziale, che si realizzerebbero imputando alla persona fisica un cumulo di sanzioni punitive per lo stesso fatto. D’altra parte, la Cassazione censura quelle situazioni in cui la persona fisica si sottragga alla responsabilità patrimoniale illimitata, costituendo una società unipersonale a responsabilità limitata, ma, al tempo stesso, eviti l’applicazione del DLgs. 231/2001, sostenendo di essere un’impresa individuale. Il fenomeno è quello della creazione di persone giuridiche di ridottissime dimensioni allo scopo di frammentare e polverizzare i rischi economici e “normativi”.