Non basta l’omissione di informazioni: la sussistenza del reato presuppone che la condotta dell’agente fosse volta a conseguire un beneficio indebito
Nell’ambito della disciplina sul “reddito di cittadinanza”, l’art. 7 comma 1 del DL 4/2019 sanziona, con la reclusione da 2 a 6 anni, la condotta di chi rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute al fine di ottenere indebitamente tale beneficio.
Secondo la Corte di Cassazione – sentenza n. 44366 depositata ieri – la sussistenza di tale reato presuppone che la condotta dell’agente fosse volta al conseguimento di un beneficio, appunto il “reddito di cittadinanza”, indebito, per tale intendendosi quello che non gli sarebbe stato riconosciuto, laddove questi non avesse reso dichiarazioni mendaci, prodotto documentazioni materialmente o ideologicamente false o, infine, avesse fornito tutte le informazioni dovute.
Conseguenza di tale interpretazione è che nel caso in cui, all’opposto, le informazioni false od omesse non incidano sulla legittimazione ad accedere al beneficio il reato stesso non sarebbe configurabile.
Questa lettura della disposizione non è, tuttavia, pacifica in giurisprudenza, tanto è vero che in altre pronunce di legittimità è stato affermato che la fattispecie trova applicazione indipendentemente dall’accertamento dell’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge. Ciò perché il legislatore ha inteso creare un meccanismo di riequilibrio sociale, quale il reddito di cittadinanza, il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione, che sia ispirata alla massima trasparenza (così testualmente Cass. n. 5289/2020).
Da questo pare intuirsi che la sanzione penale costituirebbe la reazione da parte dell’ordinamento a una forma di violazione del patto di leale cooperazione che sarebbe intercorso fra il cittadino e l’amministrazione in ordine alla possibile erogazione del beneficio di cui sopra.
La sentenza in commento non condivide tale impostazione e si sofferma sull’avverbio “indebitamente” contenuto nella norma in esame. Con tale avverbio – secondo la Cassazione – si fa riferimento non tanto a una volontà di accesso al beneficio messa in atto non iure, cioè in assenza degli elementi formali che avrebbero consentito l’erogazione, quanto a una volontà diretta a un conseguimento di esso contra jus, cioè in assenza degli elementi sostanziali per il suo riconoscimento. Un diverso argomentare porterebbe a ricondurre la sanzione penale, cioè la più grave delle sanzioni che l’ordinamento consente, anche alla sola violazione di un obbligo privo di concreta offensività; posto che tale violazione potrebbe non avere condotto, se il beneficio non fosse stato “indebitamente” richiesto stante la sussistenza dì tutte le condizioni sostanziali per la sua erogazione, ad alcun effettivo nocumento per l’ente erogatore.
Appare, pertanto, più in linea con i principi di ordine costituzionale in tema di necessaria offensività del reato il ritenere che con l’espressione “al fine di ottenere indebitamente il beneficio…” il legislatore abbia inteso tipizzare in termini di concretezza il pericolo che potrebbe derivare dalla falsità ovvero dalla omissività delle dichiarazioni presentate per il conseguimento del reddito di cittadinanza, nel senso che la loro rilevanza penale sarà sussistente nei soli casi in cui intenzione dell’agente era il conseguire, attraverso di esse, un beneficio diversamente non dovuto.
Alla luce di tutto ciò viene rigettato il ricorso di un soggetto che aveva ottenuto il reddito di cittadinanza omettendo di dichiarare la circostanza per cui il padre era detenuto in carcere. I presupposti del sequestro penale conseguente al reato di cui al citato DL 4/2019 si fondano qui sul fatto che, ove si fosse tenuto conto, come doveroso, del dato omesso, portando questo a una diversa base di calcolo del suo status economico, tale soggetto non si troverebbe nelle condizioni reddituali per accedere al beneficio invece (“indebitamente” allo stato degli atti) erogato.
In tali ipotesi è ammissibile un sequestro avente a oggetto la carta di debito sulla quale sono state riversate le relative rimesse finanziarie nonché le somme a tale titolo esistenti sulla predetta carta di debito.