Rileva che la condotta sia stata tenuta in circostanze eccezionali tali da rendere soggettivamente inesigibile il comportamento lecito
Ha avuto molta risonanza mediatica una decisione del Tribunale di Milano che ha assolto un’imprenditrice dal reato di omesso versamento delle ritenute in forza dell’acclarata crisi del settore orafo a cui si è aggiunta l’emergenza COVID-19. Si tratta della pronuncia n. 6254 depositata lo scorso 11 giugno che ha riconosciuto la mancanza dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 10-bis del DLgs. 74/2000 (omesso versamento di ritenute dovute o certificate) “essendo stata offerta adeguata prova della crisi di liquidità che ha coinvolto la società ed ha determinato l’inesigibilità dell’adempimento fiscale”.
La società in questione si occupava di produzione industriale di cubi zirconia, di trading di materiale per la gioielleria (acquistava gemme preziose dai mercati di riferimento per distribuirle in Italia) e possedeva una produzione di gioielleria a marchio proprio. La contrazione del mercato, la riduzione delle linee di credito bancarie e la conseguente riduzione della liquidità avevano portato, tra le altre conseguenze, la contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate dell’omissione dei versamenti delle ritenute d’imposta per l’anno 2015 a cui era seguita un’istanza di rateizzazione accolta dalla medesima Agenzia.
Con l’acuirsi della crisi economica dovuta all’emergenza sanitaria in corso, erano state, tuttavia, versate solo 6 rate delle 72 previste. La sentenza in esame appare di interesse in quanto afferma che la condotta di omesso versamento delle imposte da parte dell’imputato, se pur volontariamente tenuta, è stata “imposta” al soggetto dalle circostanze che aveva dovute fronteggiare; tali circostanze hanno inciso sulla colpevolezza dell’imputato che si ritiene insussistente stante la inesigibilità della condotta doverosa omessa.
In proposito viene richiamata quella giurisprudenza secondo cui è possibile invocare la assoluta impossibilità di adempiere a condizione che venga accertata la non imputabilità all’imprenditore o all’amministratore della crisi economica. Inoltre l’imputato deve dimostrare che le difficoltà finanziarie non potevano essere fronteggiate con idonee misure da valutarsi in concreto anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale (cfr. Cass. n. 5467/2014 e Cass. n. 20266/2014).
Nel caso di specie si ritiene provato che la contrazione del fatturato e la crisi finanziaria siano state “determinate da fattori esogeni e assolutamente estranei alle scelte imprenditoriali”. In verità, il mercato in cui operava l’impresa era stato travolto da una crisi causata dalla concorrenza dei mercati esteri, dallo sviluppo della tecnologia e dal crollo del mercato russo, principale acquirente dei gioielli.
Quanto alle misure esperibili per fare fronte ad una crisi finanziaria viene sottolineato che, nel caso concreto, le banche avevano già notevolmente ridotto, tra il 2012 e il 2015, i fidi bancari sicché viene dedotta l’indisponibilità delle stesse a concedere ulteriori linee di credito alla società. Vengono, così, valorizzati alcuni rilevanti indicatori del finalismo della condotta che ha portato all’adempimento degli obblighi tributari.
Il rappresentante legale, infatti, oltre ad aver messo in cassa integrazione e poi licenziato i dipendenti, oltre ad aver rinunciato al suo stipendio e ad aver immesso nella società risorse proprie, aveva presentato all’Agenzia delle Entrare un piano di ammortamento relativo all’anno di imposta in contestazione, pagando le rate concordate in modo regolare e preciso fino al gennaio del 2020. Successivamente il pagamento delle rate era diventato insostenibile a causa dell’emergenza sanitaria entrata nel vivo a far data dalla fine del febbraio del 2020, ma lo stesso aveva confermato il suo intento presentando un ulteriore piano di rateizzazione post COVID il 27 maggio 2021.
In altre parole, erano state poste in essere una serie di attività volte a risanare la situazione finanziaria della società in vista anche dell’adempimento degli oneri fiscali. Essendo questo il quadro generale in cui è stato omesso il versamento delle ritenute di imposta, il Tribunale di Milano opta per una sentenza di assoluzione: l’imputato non viene trovato rimproverabile “in quanto la condotta è stata tenuta in circostanze anormali ed eccezionali tali da rendere soggettivamente inesigibile il comportamento lecito”.