Il DL 118/2021 ha posticipato l’entrata in vigore delle misure del DLgs. 14/2019 relative a tali reati al 16 maggio 2022

Di Maria Francesca ARTUSI

Le norme del Codice della crisi di impresa che interessano i reati di bancarotta entreranno in vigore il 16 maggio 2022 alla luce del differimento operato dal DL 118/2021 (che ha modificato l’art. 389 del DLgs. 14/2019). Pertanto, nessuna questione può porsi circa il rapporto tra le future disposizioni di tale codice e le fattispecie di bancarotta in esso contemplate rispetto alle norme vigenti, uniche che possono trovare oggi applicazione nel procedimento penale.

Da ciò consegue, altresì, l’irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale che taluni hanno sollevato relativamente alla norma transitoria dell’art. 390 del DLgs. 14/2019, in quanto sarebbe inammissibile un sindacato preventivo di legittimità che potrà porsi solo con l’entrata in vigore delle norme del Codice della crisi. Tale ultima norma prevede l’applicabilità del RD 267/42 per tutti gli illeciti connessi ai ricorsi per dichiarazione di fallimento alle proposte di concordato fallimentare, ai ricorsi per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, per l’apertura del concordato preventivo, per l’accertamento dello stato di insolvenza delle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa e alle domande di accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento depositati prima dell’entrata in vigore del Codice della crisi.

Con la sentenza n. 42647 della Corte di Cassazione, depositata il 22 novembre scorso, sono state, così, respinte le istanze difensive di un amministratore di fatto condannato in appello per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del DLgs. 74/2000) e di bancarotta fraudolenta patrimoniale (artt. 216 e 223 del RD 267/42) per aver distratto dalle casse di una srl fallita più di due milioni di euro, giustificando i prelievi con il pagamento di fatture false, in concorso con l’amministratore di diritto. A sua difesa, costui sosteneva l’espunzione dall’ordinamento giuridico dell’istituto del fallimento a opera del DLgs. 14/2019, quale presupposto per il procedimento penale per bancarotta, e la conseguente incostituzionalità del citato art. 390 del medesimo decreto. Tesi che – come detto – viene completamente confutata dalla sentenza in esame.

Si noti, tra l’altro, che sia i primi commentatori, sia le prime pronunce sul nuovo Codice della crisi si sono espressi nel senso di una continuità normativa tra le fattispecie penali ivi previste; pertanto anche dopo l’entrata in vigore del decreto non si dovrebbero porre particolari problemi di successione di leggi (cfr. Cass. n. 12056/2021).

La Cassazione in commento ribadisce altresì il principio per cui, al fine della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, è sufficiente qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo, beni e altre attività in genere, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari, compiuta da chi abbia avuto in concreto l’effettivo potere di gestione della società poi dichiarata fallita, in quanto tale depauperamento si risolve in un pregiudizio per i creditori della società all’atto del fallimento (Cass. n. 1458/1997).

Peraltro in presenza di un “gruppo di società” (del quale nel caso di specie non è dato comunque ravvisare gli elementi costitutivi), per escludere la natura distrattiva di un’operazione infragruppo sulla base del maturarsi di vantaggi compensativi, non è sufficiente allegare la mera partecipazione al gruppo, ovvero l’esistenza di un vantaggio per la società controllante, dovendo invece l’interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l’operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata (Cass. n. 8253/2015).

Qualche annotazione interessante riguarda anche il ruolo di amministratore di fatto. Nel caso di specie tale circostanza viene accertata sulla base di elementi dimostrativi concreti tra cui: l’ampia procura conferitagli dalla fallita per operare sui conti correnti sociali; la gestione dei pagamenti e dei rapporti con clienti e fornitori esercitata in via esclusiva dell’imputato, ovvero l’attività di sottoscrizione, da parte di quest’ultimo, di contratti, accordi o transazioni in qualità di legale rappresentante della fallita; le dichiarazioni dello stesso imputato di aver gestito, con ampia autonomia, i principali accordi che hanno riguardato la società; le dichiarazioni dei testi che hanno indicato in tale soggetto il responsabile della società, laddove l’amministratore formalmente nominato svolgeva le mansioni di capo cantiere.

Tali elementi danno conto della nozione di soggetto “di fatto” introdotta dall’art. 2639 c.c. che postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, anche se “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico oppure occasionale, come nel caso in esame.